Liberi di migrare, liberi di restare

Domenica si celebra la 109 Giornata mondiale del migrante e del rifugiato

«Liberi di scegliere se migrare o restare» titola il messaggio per la 109ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato.

Il Papa richiama con forza il diritto alla libertà di tutti e di ogni persona di muoversi senza limitazione alcuna perché la terra è dono di Dio e quindi di tutti.

L’analisi del Pontefice è, come al solito, attenta e profonda e ne richiamo alcuni aspetti particolarmente significativi.

Il punto di partenza è che, oggi, tale libertà è negata. I tempi attuali sono caratterizzati da grandi migrazioni forzate: intere popolazioni fuggono dalle persecuzioni, dalle guerre, dalla miseria ma anche dalle grandi calamità naturali e da condizioni climatiche avverse che sempre più spesso e in maniera devastante affliggono le popolazioni stesse e tutta la comunità umana.

È facile richiamare alla mente la guerra in Ucraina, il terremoto in Marocco, l’alluvione in Libia per fare qualche esempio.

Certamente, afferma il Papa, perché cessi il fenomeno occorre eliminarne le cause. Per questo «è necessario l’impegno comune di tutti»: ognuno al suo livello e assumendosi le responsabilità che gli sono proprie.

Ma è interessante l’aspetto dell’impegno su cui il papa pone l’accento: non solo occorre interrogarsi su cosa fare ma anche su cosa «smettere di fare».

All’interrogativo «Cosa posso fare?» si affianca un imperativo: «devo smettere di fare!»

L’imperativo chiama in campo il modo di agire, chiede un nuovo atteggiamento, un cambiamento profondo e non solo un surplus di azione, spinge più verso una revisione del comportamento personale piuttosto che verso un’aggiunta a ciò che già facciamo.

Si comprendere meglio perché al centro del messaggio si collochi il richiamo all’ideale della prima comunità cristiana descritto negli Atti degli Apostoli: la sua riscoperta o, forse, la sua scoperta garantirebbero effettivamente la partecipazione alle risorse, il rispetto dei diritti di ciascuno, lo sviluppo integrale di ogni uomo.

Ciascuno di noi è quindi chiamato ad una conversione profonda del modo di agire e ad una rinnovata testimonianza di vita perché colui che si trova al mio fianco non sia costretto ad andare via per trovare condizioni di vita dignitose.

Questo dipenderà, certo, dai Paesi d’origine ma il cerchio si deve allargare inevitabilmente anche alla comunità internazionale.

Essa ha l’obbligo di permettere lo sviluppo dei singoli paesi, evitare che vengano depredati delle loro risorse e garantire il diritto che il Papa chiama «il diritto a non dover emigrare».

È questa una grande novità che il messaggio vuole veicolare: non essere costretti a emigrare è un diritto dell’uomo che va riconosciuto e tutelato.

E finché non lo sarà la migrazione forzata per una vita migliore sarà cercata e perseguita ancora da molti.

Ma lottare per vedere riconosciuto questo nuovo diritto non deve escludere l’accoglienza e la cura del migrante e del rifugiato che bussa alla porta: egli non è solo un fratello vulnerabile ma è Cristo stesso. Respingerlo equivale a respingere Cristo.

Con questa consapevolezza, la comunità cristiana in cammino sinodale si deve assumere l’impegno di creare condizioni perché chiunque, senza distinzione e in qualunque luogo decida di costruire la propria vita, trovi sempre una comunità capace di accoglienza, protezione e cura che non tagli fuori nessuno.

Abbracciando, come Francesco d’Assisi fece con il lebbroso, questi speciali compagni di viaggio.

Enrico Porru – Diacono – Direttore Ufficio diocesano Migrantes

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