Se c’è una categoria che più di altre è lontana dalle preoccupazioni di chi amministra la cosa pubblica, è quella dei bambini.
Nei giorni della quarantena, o meglio negli oltre due mesi di clausura, poco o nulla è stato pensato per i più piccoli.
Anche la presunta didattica a distanza ha mostrato il divario tra chi poteva seguire le lezioni e chi invece non ne ha avuto la possibilità, perché, più spesso di quanto si creda, sprovvisto di computer o tablet, oppure disponeva di un debole segnale internet.
D’altronde anche la tanto sbandierata digitalizzazione del Paese è una chimera: è sufficiente chiedere ai residenti dei piccoli centri alle prese con una rete internet decisamente debole.
Costretti a casa, con i genitori che hanno fatto salti mortali per seguirli, i bambini ora manifestano le problematiche legate alla forzata permanenza in casa: l’assenza di contatti con la rete sociale nella quale erano immersi li ha resi irascibili oppure eccessivamente dimessi.
Il cosiddetto «Decreto rilancio», emanato dal Governo, destina briciole alle famiglie, le quali, in questi ultimi due mesi, hanno fatto da ammortizzatore ad una situazione davvero problematica.
Per i nuclei familiari solo un bonus babysitter ma nessun provvedimento capace di invertire la tendenza. Da oltre tre decenni le famiglie sono il fanalino di coda nelle scelte di politica economica in questo Paese. Ne sanno qualcosa i genitori degli alunni delle scuole paritarie i quali, senza un deciso intervento del Governo, dovranno trovare una nuova scuola per i loro figli, problema che interessa anche la Sardegna.
Nell’Isola su circa 200 istituti paritari, 150 sono quelli primari e dell’infanzia, localizzati spesso in piccoli centri, dove il classico asilo gestito da suore è un’istituzione pluridecennale, che ha sempre assicurato un prezioso servizio educativo e formativo ai bambini del paese.
C’è poi un altro settore, quello dei servizi all’infanzia, gestito molto spesso da cooperative sociali o soggetti giuridici senza fini di lucro, fatto di asili nido, di servizi di assistenza specialistica o educativa, di baby-parking, di spazi ludici per magari festeggiare i compleanni dei piccoli: per loro il mondo si è fermato a marzo e nessuno ha il benché minimo intento di farsi carico delle necessità dei lavoratori, fortunati se in cassa integrazione, mentre molte cooperative rischiano di chiudere o di dover licenziare il personale.
In particolare sono fermi e senza prospettive gli asili nido: lo sa bene chi ha figli da zero a tre anni.
La situazione che viviamo in Italia è talmente paradossale da aver attirato l’attenzione della stampa estera.
Nei giorni scorsi il Presidente del Forum delle Associazioni familiari, Gigi De Palo, intervistato dal «New York Times», ha ricordato come nel decreto del Governo ci siano gli aiuti per le famiglie «non come soggetto sociale ma quanto somma di lavoratori che vivono all’interno di una casa, oppure come luogo dove poter spendere il bonus babysitter o avere gli sgravi per quanto riguarda le colf».
La famiglia in Italia non vale come risorsa ma come somma di stipendi: una visione frutto di una mentalità mercantilistica che ci sta portando sulla via dell’estinzione. Per questo occorre tenacemente far sentire la voce delle famiglie ad ogni livello: in gioco ci sono il presente e il futuro dell’Italia.
Roberto Comparetti
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