Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”.
Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
Da questo numero sarà suor Rita Lai, docente della Facoltà Teologica, a commentare il Vangelo.
Il grazie a don Enrico Murgia per il servizio offerto in queste ultime settimane.
Commento a cura di Rita Lai
Continua in questa domenica la dimensione provocatoria delle parole di Gesù.
Dopo la precisazione del Vangelo di domenica scorsa che si chiudeva con l’affermazione che pubblicani e prostitute precederanno i figli di Israele nel Regno, ora lo stesso capitolo 21 di Matteo ci presenta una parabola sugli stessi temi.
Essa diviene la sintesi di tutta la storia della alleanza mancata dall’uomo e sempre voluta da Dio.
Gesù si rivolge ai capi del popolo e agli anziani: i destinatari sono particolarmente importanti, visto il peso delle sue parole.
C’è una vigna e un padrone che se ne prende cura, con una serie di azioni che indicano l’amorevolezza di cui la circonda (La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre).
Poi la affida ad altri, e si aspetta che essi la trattino con la stessa cura e attenzione (la diede in affitto).
È un amore grande ma libero che sa delegare, che non si impossessa. Sa aspettare.
Il resto del racconto lo dimostra: aspetta che gli uomini si prendano cura del bene che ha loro affidato.
La vigna non è un loro possedimento, ma essi si comportano come se lo fosse e fanno di tutto per tenerla: malmenano, percuotono, lapidano, uccidono.
Uccidono anche il Figlio, l’ultima speranza del padrone che non cessa di credere e di sperare in loro.
La parabola diventa rivelativa di almeno tre elementi: essa è la fotografia di chi è il Padre coi suoi doni d’amore all’uomo; della fiducia che egli ripone nell’uomo affidandogli la cura dei suoi beni; della posizione dell’uomo, che spesso rompe l’alleanza o non riconosce con gratitudine il ruolo del Padre.
La figura che si staglia nei Vangeli è quella affascinante del Dio a misura d’uomo, che non teme di fidarsi di lui e che non si stanca di ripetere il suo invito, di mandare i suoi operai, di rischiare il suo stesso Figlio.
La fiducia che Dio ripone nell’uomo: noi ci riempiamo la bocca con grandi discorsi sulla nostra fede, sul nostro rapporto col Signore.
In realtà ciò che conta è la sua fiducia nei nostri confronti, nonostante i nostri continui voltafaccia.
Osserviamo la pazienza del padrone della vigna: dinanzi al rigetto e alla violenza, egli continua a pazientare fino alla fine. E infine la posizione dell’uomo; il suo rifiuto completo, a più riprese, senza la capacità di cogliere la proposta di Dio ripetuta, fedele.
Questo è l’uomo.
Questo siamo noi.
Ma la storia continua.
La vigna è data in consegna ad altri contadini, l’opera di Dio non si ferma.
Questa è anche la nostra speranza. In fondo la nostra piccola storia è inquadrata in una più grande, di cui a Dio non sfuggono i dettagli.
Egli ha cura di noi.
E non cessa di sperare in noi.
È questa una delle sue bellezze…e una delle nostre certezze.
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