Come ogni anno il messaggio per l’annuale Giornata mondiale delle comunicazioni sociali ci è stato consegnato in occasione della festa di San Francesco di Sales, il 24 gennaio.
Erano giorni in cui la storia dell’intero pianeta si affacciava verso uno scenario di cui, poco più di un mese dopo, anche in Italia, avremo compreso la portata epocale.
Certamente questa frenata brusca e inaspettata, azionata dal nuovo coronavirus, ha coinvolto tanti aspetti della vita della società umana e ha trovato nei media e nell’azione dei singoli comunicatori un ambito di narrazione straordinario.
La dimensione planetaria della diffusione del Covid, tra gli innumerevoli aspetti che la caratterizzano, porta con se anche un’intrinseca esigenza d’essere narrata in tutti i suoi aspetti: medici, economici, politici, sociali, familiari, lavorativi, esistenziali, religiosi. E il racconto è sempre una consegna di sé e degli altri, della cronaca e della storia, del particolare e dell’universale, del male e del bene.
Papa Francesco, nell’affidarci il messaggio per la 54esima Giornata dedicata alla comunicazione, senz’altro non immaginava di darci un orientamento molto utile per affrontare la trasmissione cronachistica e storica di quanto stiamo vivendo.
Ed ecco dunque la sfida che il Pontefice ci propone come giornalisti e animatori della comunicazione: «In un’epoca in cui la falsificazione si rivela sempre più sofisticata, raggiungendo livelli esponenziali (il deepfake), abbiamo bisogno di sapienza per accogliere e creare racconti belli, veri e buoni».
E Francesco prosegue: «Abbiamo bisogno di pazienza e discernimento per riscoprire storie che ci aiutino a non perdere il filo tra le tante lacerazioni dell’oggi; storie che riportino alla luce la verità di quel che siamo, anche nell’eroicità ignorata del quotidiano».
L’esercizio del raccontare anche le cose più difficili, ma raccontarle «bene» e rintracciando quel briciolo di bene che esse sempre contengono, è la prova di professionalità comunicativa a cui siamo chiamati oggi più che mai.
Un giornalismo che passa per questo stile diventa «curativo», acquisendo veramente una forza medicinale.
Perché, quando si racconta la verità declinandola non solo con il male di cui è portatrice ma anche per i germi di bene che essa contiene, la comunicazione promuove realismo nella vita presente senza negare una speranza per il futuro.
Nella preghiera conclusiva del messaggio del Papa è contenuto un vero e proprio atto di affidamento alla Vergine: «O Maria, donna e madre, tu hai tessuto nel grembo la Parola divina, tu hai narrato con la tua vita le opere magnifiche di Dio. Ascolta le nostre storie, custodiscile nel tuo cuore e fai tue anche quelle storie che nessuno vuole ascoltare».
È un invito a consegnare a Dio le storie che si intendono narrare, prima ancora di consegnarle ai lettori e ai fruitori dei media.
La preghiera prosegue e la richiesta successiva è quella di avere uno «sguardo sapienziale» verso ciò che accade, quello sguardo che il comunicatore deve sempre curare: «Insegnaci a riconoscere il filo buono che guida la storia. Guarda il cumulo di nodi in cui si è aggrovigliata la nostra vita, paralizzando la nostra memoria. Dalle tue mani delicate ogni nodo può essere sciolto. Donna dello Spirito, madre della fiducia, ispira anche noi. Aiutaci a costruire storie di pace, storie di futuro. E indicaci la via per percorrerle insieme».
Insomma, una bella «regola di vita» per coloro che oggi sono chiamati a raccontare il presente affinché, anche in futuro, possa essere accolto e compreso lo scorcio storico che oggi stiamo vivendo da protagonisti.
Don Giulio Madeddu – Direttore Ufficio diocesano
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