Intervista alla professoressa Luisa Salaris, dell’Università di Cagliari
Secondo l’Istat, tra il 2019 e il 2020, la popolazione in Sardegna è diminuita in tutte le province, con un calo medio del -1,4%.
Luisa Salaris è docente di demografia all’Università di Cagliari.
A cosa è dovuto questo andamento?
La popolazione non cambia da un anno all’altro. In certi momenti ci si stupisce del fatto che ci siano pochi bambini o la popolazione diminuisca: semplicemente perché, come se fosse un’azienda, se non ci sono entrate, l’azienda va in rosso.
Quindi a fronte di decessi o emigrazioni, nascono pochi bambini e in Sardegna più che mai arrivano poche persone, con una presenza di stranieri limitata.
Imputa maggiori responsabilità alla politica locale a vari livelli, o a quella nazionale?
Il calo della natalità è un problema generalizzato, di politiche che sono sempre mancate di sostegno alla famiglia e che diano fiducia ai giovani.
Questo è evidente se si confronta l’esperienza italiana con quella di altri paesi europei, come quelli scandinavi o la Francia, in cui c’è stata una ripresa della natalità.
Nella nostra regione sicuramente ci sono dei margini di intervento, perché molti comportamenti attengono, anche per la natalità nelle famiglie, alla fiducia che le persone hanno nel futuro: perché una persona dovrebbe mettere al mondo un figlio se non ha gli asili nido o un lavoro o comunque non ha fiducia rispetto al proprio futuro?
E, nel caso della Sardegna, ancora tanti giovani decidono di andare a vivere altrove e i figli li fanno nelle altre regioni.
C’è quindi una responsabilità anche politica regionale: affrontare il problema del sostegno alle famiglie, dal punto di vista della natalità, è un progetto di lungo periodo che non ha molto appeal per un politico che invece ha bisogno di mostrare risultati subito.
Quali misure ritiene si debbano mettere in atto per contrastare un andamento che pare inarrestabile?
Reputo che la diminuzione della popolazione, in sé non sia una cattiva notizia. Il problema è la qualità della vita; in alcune zone della Sardegna.
Il problema non è tanto che si è in pochi quanto che quei pochi sono persone anziane, con una richiesta importante di assistenza e servizi sanitari.
Di per sé la diminuzione della popolazione non è una cattiva notizia; il problema è la gestione, i servizi e la qualità della vita.
Le statistiche evidenziano alcune differenze, con Oristano in leggera crescita.
Se uno guarda ai numeri in senso stretto, ci possono essere dei cambiamenti e degli spostamenti.
Il problema è guardare “dentro”, a ciò che succede alla popolazione. Se ho una popolazione molto anziana e la ASL è a cinquanta chilometri, come si può chiedere alle persone di restare?
Lì vedo il discorso più complicato.
Il numero complessivo può essere una sintesi o un’indicazione, forse, però, bisognerebbe soffermarsi a ragionare in termini di territorio, di comunità più che di popolazione.
Quindi più a livello degli specifici territori.
Sì, esatto.
In generale io parlerei più della qualità della popolazione che della quantità.
Il problema di fondo è quello di mancanza di fiducia verso il futuro e di pianificazione di una famiglia, di opportunità lavorative, che poi vanno ad impattare sul numero di figli che si mettono al mondo e sulla propensione che i giovani possono avere di emigrare.
Chi resta sono gli anziani che, nel bene o nel male, sono coloro che ad un certo punto ci lasciano, e così si riduce la popolazione.
L’azione politica dovrebbe concentrarsi sul fattore emigrazione, per far sì che le persone non partano, sull’immigrazione per attirare persone che vogliano vivere in Sardegna, e quanto è di supporto alle famiglie: sono queste il nostro futuro ed è imprescindibile investire su di loro.
Marco Scano
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