Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
(Lc 10, 38-42)
Commento a cura di Michele antonio Corona
Dopo aver presentato la parabola che apparentemente rimaneva legata alla domanda del dottore della legge sul «fare», il percorso del vangelo di Luca compie una sosta nell’ascoltare.
Il Maestro riprende il cammino verso Gerusalemme.
Non si tratta, come più volte detto, di un semplice viaggio o di uno spostamento geografico, ma è il percorso esistenziale e spirituale verso la radicalità del dono. Durante questo itinerario ciascuno dei personaggi incontrati rappresenta un aspetto della vita credente ed ecclesiale, intorno a cui è necessario prendere le misure. Il villaggio presso cui giunge la comitiva rimane anonimo, al contrario delle due donne che vengono menzionate coi loro nomi e il grado di parentela che intercorre tra loro.
Nel confronto con gli altri vangeli si può evincere che siamo alle porte di Betania e che le due donne sono sorelle di Lazzaro.
Sullo sfondo si staglia la profonda amicizia che lega il Maestro ai tre, sottesa — in questo brano — dalla schiettezza di Marta. Il profilo personale che viene presentato delle due donne è molto sobrio: una ascolta la parola di Gesù, mentre l’altra è strattonata dalle tante cose da fare, una è seduta, l’altra presumibilmente in movimento, una tace, l’altra sbotta in modo tagliente. Nella millenaria interpretazione e attualizzazione di questo brano si è spesso ceduto ad una opposizione tra stili di vita: claustrale o attiva, consacrata o laicale, cristiana o pagana, contemplativa o fattiva.
Ma il brano pone in contrapposizione le due donne per escludere uno dei due stili? Inoltre, il fatto che si sia appena parlato del «fare» nella parabola precedente, non ci dice che qui il nucleo fondamentale è caratterizzare l’ascolto? Luca pone in evidente e sottile contrappunto il sovraccarico a cui si è sottoposta Marta e l’amichevole denuncia di Gesù del suo essere ormai preoccupata e agitata. Il normale e necessario occuparsi delle cose è divenuto un pre-occuparsi alienante, che impoverisce e spoglia chi si fa divorare da esso.
Questa pagina parla anche di noi: fotografa il nostro vissuto quotidiano, le nostre corse contro il tempo, l’affannarci dietro mille cose non sempre importanti! Marta è segno della schizofrenia di molte nostre «diakonie» (servizi), anche ecclesiali. Dove ci conduce un apostolato che parla più di noi stessi che di Dio? Quale frutto può produrre un attivismo tanto spasmodico da togliere il respiro evangelico a noi stessi e a chi ci incontra? Di che Regno parlano i nostri rimproveri a chi ha il coraggio di sedersi e riflettere sull’unica parola che salva, invece di correre dietro al vento? Nella prima lettura si cita l’episodio della visita dei tre ad Abramo con le caratteristiche nomadiche della tenda e dell’ospitalità. Abramo, come Marta, accoglie i viandanti con estremo entusiasmo e si agita per offrire loro qualcosa. Saranno invece i tre a dare l’annuncio al patriarca e a sua moglie, proprio come nel brano evangelico è Gesù a presentare la svolta decisiva per la vita delle due donne. Inoltre, il segno eloquente della tenda fissa la provvisorietà del traguardo raggiunto e l’itineranza del credente. Scriveva don Tonino Bello nel suo modo sagace e profetico: occorre essere «contempl-attivi nella ferialità quotidiana».
L’impegno e la costanza della quotidianità permette al discepolo di fugare ogni schizofrenia, che scaturisce dal rifiutare il proprio vissuto e dimenticare la propria storia. Marta e Maria si pongono davanti al maestro con verità e nella pienezza dei loro doni e dei loro limiti. Con questa argilla personale il Signore continua ad impastare la salvezza del mondo e dell’uomo.
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