Padre Salvatore è da sempre impegnato nelle comunità terapeutiche
Depositate in cassazione le firme per chiedere un referendum sulla legalizzazione delle droghe leggere, per i promotori sarebbe un passo avanti nei diritti civili.
Ma è davvero un passo avanti della società o è un passo in avanti verso il baratro?
Per padre Salvatore Morittu, teologo e psicologo, impegnato da più di 40 anni nelle comunità terapeutiche da lui fondate, per l’accoglienza di tossicodipendenti e la prevenzione sul territorio, le cose sono ben chiare.
«Il referendum – esordisce – proposto dai radicali e dell’associazione «Luca Coscioni», con 630.000 firme per legalizzare la cannabis, mi desta molta preoccupazione, perché queste sono materie che non possono essere oggetto di referendum. Le faccio solo un piccolo esempio.
Prego
La metà di coloro che hanno firmato sono giovani dai 18 a 25 anni, ciò significa che siamo all’interno di una realtà dove questo problema non è adeguatamente considerato.
Siamo favorevoli che il Parlamento possa farsi carico di una riflessione più seria, più articolata e approfondita su queste tematiche.
Ad esempio è preoccupante il fatto che all’interno delle tossicodipendenze e delle dipendenze senza sostanze, come la ludopatia, ci si concentri solo su una parte, quale è la cannabis, che desta certo preoccupazione, ma la gravità delle altre droghe è molto più drammatica e deleteria.
E su questo c’è un silenzio assordante.
In Sardegna non c’è giorno nel quale non si scoprono piantagioni o coltivazioni in particolar modo della marijuana. Non si ha la coscienza di quello che rappresenta l’uso di queste sostanze?
La coltivazione della cannabis in Sardegna è una realtà che va inquadrata correttamente.
La Sardegna offre un clima favorevolissimo alla coltivazione della cannabis che, se fatta secondo la normativa già esistente, non ha niente a che vedere con le droghe e potrebbe essere una normale risorsa economica.
Ciò che si coltiva deve infatti avere il Thc, cioè l’elemento attivo, sotto lo 0,6: non è perciò una sostanza psicotropa.
Dalla cannabis legale si produce anche il cannabidiolo, che è un antinfiammatorio, è un antidolorifico e non è una droga.
Se non si rispettano queste norme, si coltiva una cannabis oggi geneticamente modificata con dei livelli di THC molto più alti di quelli che avevamo 30 anni fa, capaci quindi di alterare profondamente l’apparato sensitivo e cerebrale.
Gli studi sull’uso della cannabis in adolescenza evidenziano, con assoluta chiarezza, la correlazione con l’insorgenza della schizofrenia.
Ritorniamo un attimo al Parlamento, dove il tema può essere discusso e affrontato, tralasciando l’emotività del referendum e della spinta ideologica.
Intanto il Parlamento non si pone il problema della “liberalizzazione” ma della “legalizzazione”.
Gli stessi radicali nella loro proposta indicano l’età di 16 anni oltre la quale si può legalmente comprare e usare la cannabis.
Mettere l’età significa che non stiamo trattando di un elemento poi così innocuo.
Che poi una legalizzazione della cannabis, comunque sia, tagli le gambe al mercato clandestino delle droghe mi pare assolutamente illusorio: lo spaccio punterà sulle altre droghe senza alterare i suoi enormi profitti.
Non solo, ma lo spaccio della cannabis illegale si concentrerà sulle fasce sotto i 16 anni, provocando enormi danni in ragazzi in età evolutiva, psicologicamente e psichicamente fragili.
Sono questi alcuni nodi che il Parlamento dovrà responsabilmente valutare.
E specialmente deve avere il coraggio di affrontare il problema complessivo delle droghe e delle dipendenze elaborando leggi che favoriscano la prevenzione e il recupero.
C’è poi un ulteriore livello che è quello educativo, penso alle agenzie educative, famiglia, scuola e altre realtà. Come possono aiutare a far si che questo fenomeno possa ridursi?
L’aspetto educativo è assolutamente centrale.
Dalla emergenza educativa denunciata da papa Benedetto, siamo passati alla povertà educativa, e alcuni parlano oggi di suicidio educativo.
L’educazione per essere realizzata non ha più bisogno di analisi interminabili, ma di persone che fattivamente educhino e formino: genitori, insegnanti, operatori sociali, comunità di credenti, secondo la loro impostazione di fede, ma coerenti con la loro fede.
Se continuiamo in questa opera di svuotare di contenuto educativo sia genitori che famiglie, insegnanti e scuola, animatori e comunità, è chiaro che diventa impossibile arginare i microfoni dei venditori di illusorie felicità a chilometro zero.
Si tratta di rifondare una realtà sociale educativa a partire da piccoli gruppi che con coraggio incarnino valori e percorsi concreti di vita.
Da 40 anni la domanda più angosciante che ci viene rivolta da giovani e da adulti attanagliati dalle droghe o altre dipendenze è: “Aiutami ad avere ragioni per vivere”.
Il cristiano e la comunità cristiana, per esplicito mandato di Cristo Gesù, sono depositari e testimoni di valori capaci di colorare la vita di saggezza, amore, fratellanza.
Roberto Leinardi
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