Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
(Lc 18, 9-14)
Commento a cura di Andrea Busia
Anche nel vangelo di oggi, come spesso avviene nel vangelo di Luca, incontriamo i temi della misericordia, del perdono, del giudizio reciproco. Sono temi cari al vangelo lucano e rientrano perfettamente nel tema dell’anno giubilare che stiamo vivendo.
Presunzione e disprezzo vanno spesso assieme. Quando non siamo capaci di riconoscere i nostri errori, i nostri limiti, le nostre imperfezioni, tendiamo a porci al livello di Dio e a fare nostre alcune sue prerogative come quella del giudizio. Se oltre a giudicare dimentichiamo di accogliere il fratello arriviamo facilmente al disprezzo. Dio non ci ha fatto tutti uguali, ci ha fatti bianchi, gialli e neri, uomini e donne, più o meno belli, ma a tutti ha dato la stessa dignità che discende dall’essere fatti a sua immagine e somiglianza. Non riconoscere questa dignità nel proprio fratello, disprezzarlo, equivale quindi a una mancanza di rispetto nei confronti di Dio.
È forse cattivo questo fariseo della parabola? Probabilmente no! Niente nella parabola fa pensare che stia mentendo elencando i suoi meriti, è un «bravo» giudeo, rispettoso delle leggi, delle tradizioni e delle usanze ma purtroppo non rispetta il fratello che gli sta accanto, non riesce a vedere la presenza di Dio in lui. Ma rifiutare una creatura di Dio significa rifiutare Dio. È difficile vedere Dio nel fratello che sbaglia, nel fratello che ci ferisce, nel fratello che si dimostra ingrato o che comunque non corrisponde ai nostri canoni, che ci crea difficoltà: questo è vero e appartiene all’esperienza della maggior parte delle persone. Anche san Francesco d’Assisi provava ribrezzo per i lebbrosi. Non a caso il contatto con uno di essi gli è costato uno sforzo ed è stato un momento fondamentale del suo cammino di conversione.
Il pubblicano non era un brav’uomo, era uno che faceva la cresta sulle tasse che gli ebrei dovevano pagare ai romani, e quella cresta spesso raggiungeva anche la cifra stessa della tassa, di fatto raddoppiandola. I pubblicani non godevano di alcuna stima nel popolo ebraico in quanto erano ebrei al soldo dei romani ed erano di fatto dei ladri. Quando sale al tempio però questo pubblicano si ricorda una cosa fondamentale che il fariseo aveva dimenticato: che Dio ha ancora posto per lui nel suo amore e quindi, riconoscendosi indegno di comportarsi come se fosse perfetto, chiede una sola cosa: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». Si riconosce peccatore e allo stesso tempo manifesta la sua fiducia in Dio ritenendo che possa avere pietà di lui nonostante il suo essere peccatore, che desideri ancora accoglierlo, considerarlo suo figlio.
L’insegnamento della parabola è quindi duplice: da una parte, con il pubblicano, riceviamo il forte invito a non perdere mai la fiducia nella misericordia di Dio, nel fatto che lui voglia sempre accoglierci e che possiamo sempre tornare da Lui qualsiasi sia il nostro passato. Dall’altra parte riceviamo l’invito, altrettanto forte, a guardare i nostri fratelli con lo sguardo di Dio, uno sguardo di misericordia, non di giudizio e tantomeno di disprezzo. Senza dimenticare inoltre che nessuno di noi può ritenersi «giusto» davanti a Dio, siamo tutti peccatori e tutti bisognosi della sua misericordia.
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