Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, dopo che ebbero crocifisso Gesù, il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio. tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
(Lc. 23, 35-43)
Commento a cura di Andrea Busia
La liturgia di Cristo Re non ci propone, quest’anno, la figura di Gesù giudice come nel ciclo dell’anno A (in cui si legge il vangelo di Matteo) né la figura di Gesù che afferma la sua regalità davanti a Pilato come nell’anno B (vangelo di Giovanni). Ci propone invece la figura di Gesù trattato come un malfattore, crocifisso e deriso. Dal punto di vista umano e sociale potremmo dire che ha «fallito». Si pensi alla delusione con cui ne parlano i discepoli di Emmaus: «“Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute» (Lc 24,21). Eppure, in questo fallimento umano, emerge la grandezza divina di Gesù, probabilmente molti di noi, al suo posto, avrebbero maledetto quelle persone che ci insultavano mentre eravamo innocenti, anzi dopo il bene che avevamo loro fatto. Invece Gesù in quel contesto di ingiustizia, odio e derisione non solo non condanna nessuno ma trova la forza per dimostrare amore e perdono verso chi glielo chiede. Quanta pazienza, quanta padronanza di sé, Gesù, quanto siamo invece più facilmente inclini al nervosismo quando qualcosa ci infastidisce e quanto ci è difficile prendere ad esempio Gesù sotto questo aspetto della padronanza di noi stessi.
Gesù sceglie di non dare peso alle parole e ai gesti di coloro che lo deridono e si concentra solo su colui che si dimostra umile e vero: il cosiddetto «buon ladrone» che tanto buono non doveva essere, e che non ha il coraggio di definirsi tale. Anzi si definisce lui stesso un «condannato giustamente per le sue azioni». Sicuramente ha dimostrato pentimento, un pentimento che ricorda quello del figlio dilapidatore della parabola del Padre misericordioso: fa un sincero esame di coscienza, riconosce i suoi errori, ma non sa che cosa chiedere, non riesce a sperare in ciò che gli verrà concesso perché la misericordia di Dio, Padre misericordioso, supera di gran lunga la sua esperienza di perdono e la sua immaginazione. Come abbia fatto in quel Gesù sanguinante, sfigurato dalla flagellazione, lancinato dal dolore della croce, a riconoscere un re rimane un mistero. Sicuramente c’è stata un’ispirazione speciale, probabilmente si è sentito anche un privilegiato a poter stare accanto a lui almeno un po’.
Chiede a Gesù di ricordarsi di lui nel suo regno, una domanda generica perché quest’uomo non osa chiedere il perdono, la restaurazione della sua dignità: eppure Gesù non ha misura, quando qualcuno si affida a lui con fede, umiltà e verità. Allora Lui perdona, ricostruisce l’uomo, lo ricrea, lo riporta alla sua dignità originale e rinnova la promessa della vita eterna. Gesù non agisce mai su un solo aspetto dell’uomo, guarda invece tutta la persona.
Questo è Gesù re. Gesù è anche giudice e anche autorizzato a comandare, ma tutto ciò che fa è per amore dell’uomo, considerato non come un suddito ma come un amico: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15). Amici così cari che per noi ha donato la sua stessa vita.
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