L’omelia di monsignor Baturi nella Messa alla basilica di San Paolo fuori le mura
Pubblichiamo il testo dell’omelia pronunciata da monsignor Giuseppe Baturi, Vice presidente della Conferenza episcopale della Sardegna, in occasione della concelebrazione eucaristica, nella basilica di San Paolo fuori le mura, con i Vescovi dell’Isola, impegnati nella visita «ad limina».
Siamo venuti pellegrini presso i «trofei degli Apostoli» per invocare da Dio l’aiuto e la guida nel cammino delle nostre Chiese, verso la salvezza nostra come di tutti e di ciascuno dei nostri fratelli.
Siamo accompagnati dalle preghiere di tanti credenti che ci chiedono di essere “fatti presenti” in questi giorni, nella visita al Santo Padre e nei momenti di preghiera e di venerazione per questi santi che sono all’origine della Chiesa, Pietro e Paolo, «pari per l’elezione all’apostolato, simili per l’opera compiuta, ed eguali per il loro martirio» (Leone Magno, Sermo 82,7).
Poiché le nostre Chiese di Sardegna sono nate dal sangue di tanti martiri antichi, pregando in questi luoghi, in qualche modo, torniamo all’origine, all’amore che è più grande della vita (cf. Sl 63,4), alla testimonianza suprema al vangelo della grazia che compie la corsa e il servizio dell’esistenza (cf. At 20,24).
Non c’è cammino, non c’è futuro senza la conversione continua che è sempre un tornare alle radici, alla fede nel suo punto sorgivo.
Le nostre Chiese qui tornano alla loro costituzione originaria e ne traggono motivi di amore totale e di fedeltà fiduciosa.
La ricchezza, la creatività e bellezza della fede del nostro popolo trovano in questo pellegrinaggio ai Santi Apostoli la loro ragione, la loro forza e il loro futuro.
Non c’è futuro se non si ritorna alle origini.
La sorgente permanente di tutto è l’incontro con Gesù Cristo, la certezza che tutto acquista senso e larghezza di scopo nell’accoglierne la presenza e seguirne le orme.
Tornare qui ci aiuta a scuoterci dalle nostre tiepidezze e a lasciarci ancora stupire da un amore tanto immeritato quanto infinito: «Ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento.
Ma mi è stata usata misericordia» (1Tim 1,12-13).
Questa è la nostra forza.
Non siamo perfetti, siamo amati di amore eterno.
Siamo pieni di gratitudine perché ci è continuamente usata misericordia dal Signore morto e risorto, presente e vivo.
La vita, allora, diventa il cammino di una sequela, una corsa definita unicamente dall’amore al fine: «Non ho certo raggiunto la meta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù» (Fil 3,12).
Siamo stati conquistati da Gesù Cristo e questo pellegrinaggio intende manifestare nella Chiesa e davanti al mondo la nostra identità: siamo coloro che Cristo ha conquistato.
Chiediamo la grazia di correre, di scuoterci da un certo torpore, di non smettere di guardare Cristo e di andargli incontro con quello che siamo e che abbiamo.
È Lui la ragione e la passione della vita.
Pur dentro l’amarezza dei nostri peccati e del male del mondo, affermiamo la vittoria della croce e della risurrezione: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
Non siamo perduti, se crediamo, e con tutto il cuore preghiamo perché nessuno degli uomini e donne affidate alla nostra premura vada perduto.
Salva tutti, guida tutti a te, o Dio che ami il mondo.
Impariamo qui il mistero della Chiesa come comunione, che sgorga dalla carità di Cristo, non dalla convergenza di interessi o di vedute umane.
Come afferma il Prefazio della Messa dei Santi Pietro e Paolo, i due apostoli sono uniti per sempre «in gioiosa fraternità», e «con diversi doni, hanno edificato l’unica Chiesa».
Preghiamo perché le nostre diocesi e comunità vivano la stessa fraternità lieta e costruttiva, salda nell’unità e generosa nella varietà dei doni.
La prima lettura sembra offrici il segreto, la condizione e il frutto della perenne giovinezza della Chiesa: «Durante la notte, un angelo del Signore aprì le porte del carcere, li condusse fuori e disse: “Andate e proclamate al popolo, nel tempio, tutte queste parole di vita”. Udito questo, entrarono nel tempio sul far del giorno e si misero a insegnare» (At 5, 19-20).
Parole di vita possono essere proclamate solo se la vita stessa diventa una parola, un annuncio.
La vita buona può essere trasmessa solo da quanti possono mostrarne in sé almeno l’inizio di novità.
La Chiesa è libera da ogni condizionamento umano per annunciare la vita e perché annuncia la vita.
È l’entusiasmo di questo annuncio che davvero la libera da tutti i condizionamenti e segna il passaggio dalla notte al giorno.
Nelle notti dell’uomo di oggi, notti di incertezza, di ombre, di paura e disperazione, noi non ci stanchiamo di annunciare la vita buona e bella del Vangelo, la vita di Cristo risorto che dà gioia e speranza a chi l’accoglie.
Chiediamo la fortezza, come abbiamo sentito stamani dal Papa, nell’annuncio del vangelo, nella testimonianza credibile.
Preghiamo i Santi Apostoli, perché sia viva la fede delle nostre Chiese e rinnovato l’incontro felice con Cristo, perché sia salda la loro comunione nella carità di Cristo, perché sappiano esprimere con entusiasmo la missione di annunciare la vita nuova agli uomini del nostro tempo, vita che non ha fine.
Giuseppe Baturi – Arcivescovo
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