Lo scorso 8 ottobre «l’Intergovernmental Panel on Climate Change» delle Nazioni Unite, che si occupa degli studi sui cambiamenti climatici, ha avvertito che il pianeta avrà tempo fino al 2030 per arginare le catastrofiche conseguenze delle modificazioni al clima.
Il rapporto chiarisce che si tratta di un cambiamento già in atto e la situazione è destinata a peggiorare, a meno che non venga intrapresa, con urgenza, un’azione politica a livello internazionale.
Uno dei messaggi chiave che emerge con forza dal rapporto è che già vediamo e viviamo le conseguenze del riscaldamento globale, immersi in condizioni meteorologiche estreme che stanno portando all’innalzamento del livello del mare e provocando la diminuzione del ghiaccio marino artico.
In sintesi: se, nei prossimi dodici anni, non assistiamo ad una inversione di rotta sull’uso dell’ambiente, le conseguenze delle scelte fatte fino ad oggi si abbatteranno su di noi, sui nostri figli e nipoti.
Le immagini dell’ennesima alluvione che ha interessato la Sardegna ribadiscono, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la necessità di un’inversione di rotta, sull’uso che oggi facciamo del suolo.
Come afferma il presidente dei geologi sardi, Giancarlo Carboni, le esondazioni dei fiumi hanno sempre interessato il nostro territorio: oggi però accanto ai corsi d’acqua non ci sono più campi bensì abitazioni o attività produttive.
Nel corso degli ultimi cinquanta anni, i fenomeni di urbanizzazione hanno visto una crescita esponenziale tale che ha portato insediamenti in aree a rischio.
In parte, i danni a cose e persone, sono da attribuire certamente ai cambiamenti climatici, ma oramai, anche all’uso distorto dell’ambiente.
I problemi, che quasi sempre scaturiscono nel corso delle alluvioni, potrebbero essere limitati se le vie, lungo le quali l’acqua scorre, non fossero ingombre. Su questo tema si è molto dibattuto tra chi vuole procedure più snelle e chi invece, per evitare speculazioni, chiede verifiche più accurate nel concedere le autorizzazioni alla pulizia dei corsi d’acqua.
In mezzo però ci sono territori nei quali i corsi d’acqua possono rappresentare un serio problema per la popolazione: a chi vive nelle aree a rischio, sono centoventi in tutta l’Isola, è necessario fornire nozioni sulla sicurezza e sulle pratiche per abbandonare case o luoghi di lavoro in caso di pericolo e fenomeni di allerta improvvisa.
Il tema è sempre vivo e attuale anche per la Chiesa che, in diversi documenti, non ultimo la «Laudato Sii» di papa Francesco, ha esortato ad un uso più razionale dei beni ambientali.
Paolo VI, canonizzato domenica scorsa in Piazza San Pietro, pubblicò una Lettera apostolica contenente, tra gli altri, temi ambientali.
Nell’«Octogesima adveniens», documento del 1971 al punto 21 si legge: «L’uomo… attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana. A queste nuove prospettive il cristiano deve dedicare la sua attenzione, per assumere, insieme con gli altri uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune».
A distanza di quasi mezzo secolo quelle parole risultano di drammatica attualità.
Roberto Comparetti
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