Dal Vangelo secondo Luca
Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa.
Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome».
Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.
Commento a cura di Fabrizio Demelas
Luca presenta, nel suo Vangelo, le due nascite di Giovanni e di Gesù. Di ognuna racconta l’annuncio, la reazione di chi riceve l’annuncio, la nascita, il contorno con i personaggi che hanno assistito all’evento. Il vangelo di questa domenica ci presenta la nascita di Giovanni, chiamato a diventare il Battista, grande profeta (Lc 7,26; Mt 11,9) e precursore di Gesù. L’Antico Testamento si chiude con lui e con il suo nome significativo: Giovanni, «Dio ha avuto misericordia». Questa espressione riassume tutte le antiche vicende della lunga storia di Dio con gli uomini e, in particolare, con il Suo popolo indisciplinato: Dio ha avuto misericordia. E l’uomo? C’è qualche particolare, nel brano di vangelo, che riassuma con altrettanta efficacia anche l’atteggiamento umano in quel momento della storia, subito prima di Gesù? «All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua», nota Luca. Sta parlando di Zaccaria, il padre del bimbo, che era diventato muto al momento dell’annuncio della nascita per non aver creduto alle parole dell’angelo (Lc 1,20). Di fronte a Gabriele, Zaccaria «si turbò e fu preso da timore». Ma la punizione divina non era arrivata per questo. Infatti, anche Maria a Nazareth, restò turbata quando si trovò davanti Gabriele. Il problema di Zaccaria era un altro. «La tua preghiera è stata esaudita», gli aveva detto l’angelo (Lc 1,13). Questo era il problema: Zaccaria aveva chiesto un figlio, ma davanti all’annuncio dell’angelo non si era fidato. Maria sì.
Zaccaria, come suo figlio Giovanni, chiude l’Antico Testamento, e la coppia padre-figlio riassume bene la situazione: Dio usa misericordia, come l’ha sempre usata più volte nei confronti dell’uomo, nei confronti del Suo popolo. L’uomo, Zaccaria, così come tutto il popolo di Dio prima di lui, non è stato capace di fidarsi e di essere coerente: pur rivolgendosi a Dio con una fede fatta di preghiere, suppliche, riti, non è stato in grado di accoglierne la presenza con autentica fiducia. Il popolo di Israele, come il primo Adamo, non ha mai colto fino in fondo la proposta di relazione che Dio gli andava facendo, una proposta di relazione con Lui che si poneva come fondamento della vita e unica fonte di senso vero per l’esistenza.
Come per Zaccaria, la conseguenza per il popolo incapace di fidarsi di Dio e di relazionarsi con autenticità a Lui, è la perdita della «voce». Un popolo senza voce è un popolo senza storia, un popolo che ha perso il senso della propria storia.
Toccherà al bambino Giovanni, il cui nome pronunciato ha fatto recuperare la voce al padre Zaccaria, di portare al popolo un invito al cambiamento. Giovanni, sulle rive del Giordano, inviterà la sua gente a vivere la vita di fede come accoglienza al Signore che viene, la inviterà a ritrovare la propria «voce» per riconoscere che «Dio salva», come dice il significato di un altro nome ebraico, Gesù.
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