C’è un Italia che fa e una che parla, una che agisce e un’altra che blatera sui social.
La differenza sta nel fatto che la seconda presume di essere superiore rispetto alla prima, ma i risultati, quelli che alla fine contano, danno ragione a chi si mette in gioco e si da fare.
Da qualche tempo circola un pericoloso virus che sta già facendo vedere i suoi effetti: il terzo settore e il concetto di sussidiarietà vengono depotenziati o annientati.
Così chi quotidianamente si prende cura dei più deboli o sostiene chi versa in difficoltà è un «nemico», un oppositore alla dittatura del pensiero unico: prima io, poi, forse, gli altri. Tutto questo brandendo crocifissi, Vangeli e rosari. Qualcosa non torna.
Nei giorni scorsi il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, il professore Stefano Zamagni, ha lanciato un allarme: concetti come sussidiarietà e aiuto ai poveri stanno assumendo una connotazione negativa, si sta arrivando al disprezzo del povero, la «aporofobia», come scrivevano i greci.
Intervistato dal quotidiano «Avvenire» Zamagni, una vita spesa nello studio e nella testimonianza dell’economia civile, racconta di un disegno che sta prendendo forma: una società civile che si vuole sempre più schiacciata tra le forze dello Stato e del mercato, nel nostro Paese, «è l’obiettivo non dichiarato di mettere sotto tutela gli enti del terzo settore», in termini sia di fondi da utilizzare (sempre di meno) che di progetti da realizzare. «Per questo – spiega Zamagni – è necessario che i cattolici, a cui è legato in termini ideali il 70% delle organizzazioni attualmente presenti nella società civile e nel volontariato, non si tirino più indietro, si assumano le loro responsabilità e comincino a fare massa critica per poter incidere sulle scelte che davvero contano».
Una chiamata alle «armi» per difendere uno dei pilastri che da sempre ha sorretto la vita della nostra nazione. «Il popolo italiano – ha dichiarato Zamagni – è sempre stato conosciuto nel mondo per la sua capacità di entrare in sintonia con il prossimo, per la sua “com-passione” nei confronti degli ultimi. Ora invece si stanno diffondendo disprezzo e derisione: quando questo si insinua anche nelle scuole, poi ci vuole tanto tempo per correggere atteggiamenti sbagliati».
Un cambio di prospettiva che non può che preoccupare, anche alla luce dei recenti attacchi mediatici subiti, ad esempio dalla Caritas, tanto che è dovuto intervenire lo stesso Segretario generale della Cei, Stefano Russo. «La Caritas – ha detto – è fatta di italiani che si spendono instancabilmente ogni giorno e la maggior parte sono volontari che lavorano a favore dei migranti e di tanti italiani in indigenza».
Il disprezzo del povero e di chi lo aiuta trova, a livello mondiale, una sponda in quella che il gesuita Antonio Spadaro ha definito la «Teologia della prosperità», una corrente teologica neo-pentecostale evangelica. «Il nucleo di questa «teologia» – ha scritto Spadaro sulle pagine di «Civiltà Cattolica” – è la convinzione che Dio vuole che i suoi fedeli abbiano una vita prospera, e cioè che siano ricchi dal punto di vista economico, sani da quello fisico e individualmente felici. Questo tipo di cristianesimo colloca il benessere del credente al centro della preghiera, e fa del suo Creatore colui che realizza i suoi pensieri e i suoi desideri».
Un’immagine di prosperità e benessere che per Spadaro fa riferimento al cosiddetto «American dream», al «sogno americano». «Non si identifica con esso – conclude – ma con una sua interpretazione riduttiva». Un’interpretazione che circola abbondantemente anche nel nostro Paese.
Roberto Comparetti
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