A Cagliari il Convegno per celebrare i 20 anni del Progetto «Elen Joy»
Come molti altri Paesi anche l’Italia è luogo di origine, transito e destinazione dei nuovi schiavi, sfruttati soprattutto in ambito sessuale e lavorativo.
Un mondo del dolore e della violenza che incatena dentro i confini italiani quasi 200 mila persone.
L’arcivescovo di Cagliari, monsignor Giuseppe Baturi, ha richiamato l’attenzione sui dati del Rapporto annuale del Dipartimento di Stato americano sulla tratta nel mondo per evidenziare le dimensioni dello sfruttamento sessuale e lavorativo nel territorio italiano, dove sono in aumento anche accattonaggio forzato e servitù domestica.
Si segnalano inoltre casi di traffico di organi e adozioni illegali.
Una riflessione a tutto campo, quella del segretario generale della Conferenza episcopale italiana, che il 9 ottobre scorso ha caratterizzato nel capoluogo dell’Isola il convegno «Passo dopo passo, un carisma di bruciante attualità», organizzato dalle Figlie della Carità per celebrare il 20° anniversario del progetto «Elen Joy Sardegna in aiuto delle vittime della tratta e grave sfruttamento».
Alla manifestazione sono intervenuti il Prefetto di Cagliari Giuseppe De Matteis, rappresentanti della Questura, il colonnello dei carabinieri Michele Tamponi e la visitatrice delle Figlie della carità suor Maria Rosaria Matranga.
Per quanto riguarda lo sfruttamento sessuale, in Italia sarebbero coinvolte dalle 30 alle 50 mila donne immigrate con una significativa presenza di giovani dall’Africa sub – sahariana, ma anche di molte ragazze provenienti da Est Europa, America Latina, Nordafrica e Cina.
Il grave sfruttamento lavorativo riguarderebbe invece oltre 130 mila persone (e circa 400/430 mila sono a rischio), secondo il Rapporto agro-mafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto.
«Si tratta in gran parte di giovani uomini immigrati, ma anche di italiani e italiane, che – ha detto l’Arcivescovo – non sono necessariamente vittime di tratta, ma che sono costretti a lavorare in condizioni servili». Paga oraria a volte non superiore a 2 euro, a 5 euro compreso il «pizzo» per il «caporale».
Si tratta di persone molto giovani, con un livello di istruzione basso (talvolta analfabete) ed estremamente vulnerabili. Destinate alla prostituzione in Italia o in altri Paesi europei, già durante il viaggio si ritrovano in una condizione di semi-schiavitù. Vengono spesso violentate e sono obbligate a prostituirsi.
«Purtroppo, a causa della manipolazione psicologica che subiscono, anche frutto della condizione di povertà e semi-analfabetismo che caratterizza i loro contesti sociali e familiari, diventa a volte complicato – ha aggiunto il segretario generale CEI – far capire loro come sia possibile liberarsi da questo debito e dagli sfruttatori».
Una sessantina di diocesi – generalmente in collaborazione con l’Unione superiore maggiori d’Italia (USMI) – si sono attivate per dare accoglienza e protezione a queste giovani donne.
«Spesso, tuttavia, si sono trovate ad affrontare numerose e serie difficoltà. Gran parte di queste derivano dal fatto – ha rilevato monsignor Baturi – che il sistema specifico antitratta non garantisce un numero sufficiente di posti e l’accoglienza presso i Cas (Centri di accoglienza straordinari) e gli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) non ha permesso di adottare adeguate misure di protezione. In alcuni casi, poi, sono state stipulate convenzioni a livello locale, in una logica emergenziale a volte poco strutturata».
Nel mondo, sarebbero circa 40 milioni le vittime di tratta, prevalentemente a scopo di sfruttamento sessuale (59%) e lavoro forzato (34%), ma anche per altre finalità: accattonaggio coatto, servitù domestica, espianto di organi, matrimoni imposti con la forza e le minacce, reclutamento di bambini-soldato o per gruppi terroristici, adozione illegali e gravidanze surrogate commerciali.
Drammatica la situazione dei bambini: il rapporto ONU ha registrato un netto aumento del numero di fanciulli vittime della tratta, circa il 30 % del totale, con una quota nettamente prevalente di ragazze (23%) rispetto ai ragazzi (7%).
Complessivamente, donne e bambine costituiscono il 72% delle vittime di tratta.
«Purtroppo – ha detto il segretario generale CEI – si deve ancora constatare la persistenza di vaste aree di impunità per i trafficanti di esseri umani. Il numero di condanne per tratta pronunciate in molti Paesi dell’Africa (specialmente sub-Sahariana) e dell’Asia (in particolare la regione orientale) è infatti estremamente ridotto, sebbene proprio da queste zone provengano la maggior parte delle vittime rintracciate nel resto del globo».
Anche a livello europeo, il traffico per lo sfruttamento sessuale resta la forma più diffusa (56%), seguito dal traffico per lo sfruttamento lavorativo (26%).
Il livello di azioni penali e di condanne è basso. Il rapporto Onu evidenzia inoltro un aumento della tratta di esseri umani all’interno degli Stati Membri e un target di vittime giovani e con disabilità.
Inoltre, viene notato l’utilizzo di internet e dei social media per reclutare le vittime, nonché il rischio amplificato di traffico di persone nel contesto della migrazione.
Mario Girau
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