Le scelte fatte sul servizio sanitario mostrano grandi limiti
A oltre due anni e mezzo dallo scoppio della pandemia da Covid 19, le criticità del sistema sanitario italiano e regionale sono sotto gli occhi di tutti.
Non c’è giorno nel quale non si legga della disperazione di chi vive lontano dai grandi centri dell’Isola, perché privo di assistenza medica, di ospedali che avevano centinaia di addetti e si ritrovano ad averne poche decine e non riescono ad assicurare assistenza agli utenti, di intere zone dove manca il medico di famiglia o il pediatra, così come sono oramai familiari le immagini di pazienti in attesa di una visita nelle corsie di ospedale.
Una sanità efficiente.
Se prima della pandemia si registravano criticità oggi si palesano vistosi buchi nei servizi, negli organici e nelle prestazioni.
Eppure l’articolo 32 della Costituzione chiarisce i termini del diritto alla salute: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti».
Proprio quest’ultimo passaggio dell’articolo è decisamente inapplicato da 30 anni: era il 30 dicembre 1992 quando veniva emanato il decreto legislativo n. 502, che trasformava le Unità Sanitarie locali, le USL, in aziende sanitarie locali, le ASL, dotate di autonomia e svincolate da un’organizzazione centrale a livello nazionale, poiché dipendenti dalle regioni.
Senza scomodare la neuro-linguistica il cambio di termine da «Unità» ad «Azienda» sanitaria locale, è la spia di come si sia voluto «aziendalizzare» il sistema sanitario, attraverso dinamiche di autonomia, che in seguito hanno assunto carattere imprenditoriale.
Si è avviato così un percorso involutivo che in questo biennio ha mostrato tutte le sue pecche.
Una sanità efficiente.
Per la tutela della salute la Regione spende la metà del proprio bilancio, oltre 3,5 miliardi di euro annui, una cifra che dovrebbe dar vita a un servizio adeguato alle necessità dei sardi.
La scelta però di guardare al mondo sanitario con gli occhi del mercato ha provocato e provoca storture, non da oggi ma da almeno due decenni.
Sabato scorso una manifestazione ha visto oltre 8mila persone di tutti i territori scendere in piazza a Cagliari, per chiedere una reale tutela della salute, al grido di «Curiamo la Sardegna».
Il 7 novembre 2012 Benedetto XVI, incontrando i partecipanti al convegno promosso dal Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, ricordava che «ospedali e strutture di assistenza debbono ripensare il proprio ruolo per evitare che la salute, anziché un bene universale da assicurare e difendere, diventi una semplice “merce” sottoposta alle leggi del mercato, quindi un bene riservato a pochi».
«Non può essere mai dimenticata l’attenzione particolare dovuta alla dignità della persona sofferente, applicando anche nell’ambito delle politiche sanitarie il principio di sussidiarietà e quello di solidarietà».
Una sanità efficiente.
A dieci anni distanza quelle indicazioni restano ancora di stretta attualità perché lo scorso gennaio papa Francesco, ricevendo il personale delle Agenzie delle Entrate, aveva sottolineato la necessità di continuare a difendere «il sistema sanitario gratuito e questo viene dal fisco, difendetelo, perché non dovremmo cadere in un sistema sanitario a pagamento dove i poveri non hanno diritto a nulla. Una delle cose belle che ha l’Italia».
I fatti degli ultimi tempi mostrano purtroppo come la deriva presa sia antitetica rispetto ai pronunciamenti dei due Pontefici. Occorre perciò un forte impegno per invertire la rotta.
Roberto Comparetti
© Copyright Il Portico