Ti ringrazio perché non sono come gli altri XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

(Lc 18,9-14)

Commento a cura di Emanuele Meconcelli

Davanti alla vetrina di un negozio, un vestito accattivante e con un prezzo abbordabile ti conquista: cosa fai?

Per quanto convincente, lo provi e verifichi che ti stia indosso così come stava bene al manichino in vetrina.

Ecco il problema sta tutto qui, nella differenza tra te e il manichino, tra te e il modello.

Perché se al modello di polistirolo quel vestito va benissimo, non è detto che la stessa cosa accada quando quel capo di abbigliamento lo indossi tu.

Così è anche per la preghiera: perché sia la tua, perché ti vesta in modo appropriato e ti faccia giusto deve andarti a misura, ti deve cadere addosso perfettamente.

Ma questo non potrà mai accadere se al posto tuo prega il manichino.

Quindi da una parte ci sei tu, con i tuoi problemi, con le tue fatiche, con le tue contraddizioni, con le fragilità che non accetti di te stesso, con gli enigmi che di te non capisci; dall’altra c’è l’idea che tu hai di te stesso, il tuo trailer, il modello che di te ti sei fatto e che ti permette di evitare il contatto con quella parte del tuo io più autentico che rifiuti, che ti fa paura, che ti disarma, che non ti aspetti.

E quale migliore strategia per evitare di fare i conti con te stesso se non quella di fare le pulci agli altri?

Ciò che non va negli altri, i difetti che puoi scoprire in chi ti circonda ti consentono di stare in pace con te stesso, hai trovato qualcuno che è peggio di te e questo è sufficiente per poter rimandare la verifica.

Non c’è dubbio che, almeno sulla carta, il fariseo sia formalmente più irreprensibile del pubblicano.

Così irreprensibile da essere scrupoloso all’eccesso: il libro del Levitico, al capitolo 16, prescrive di digiunare una volta all’anno, nel giorno dell’espiazione; la legge mosaica ingiunge di pagare la decima su quanto si produce.

Il fariseo invece digiuna due volte all’anno e versa la decina su tutto quello che possiede, mettendosi così al riparo dalla eventuale inadempienza del produttore da cui ha acquistato la merce.

Non c’è motivo per ritenere che le cose stiano diversamente da come il fariseo le descriva: non siamo davanti ad un ladro, ad un ingiusto, ad un adultero o ad uno che manca le prescrizioni della legge.

Ma allora dove sta il problema?

Se abbiamo capito cosa questo fariseo non è, andiamo invece a vedere cosa è: uno pieno di sé, che sta ritto in piedi in un atteggiamento di fierezza e sicurezza, la cui preghiera non instaura un dialogo con Dio, essendo soltanto una propria auto celebrazione.

Viceversa il pubblicano è consapevole della sua indegnità e si ferma a distanza, non osa varcare la soglia riservata ai primi della classe.

Sentendosi sotto lo sguardo di Dio e pertanto stando con gli occhi bassi si batte il petto, colpisce il suo cuore, sede nel mondo ebraico della decisione e della volontà. E cosa chiede? Chiede di poter cambiare, riconosce la sua miseria, la sua piccolezza e chiede misericordia. Bussa alla porta di Dio a mani vuote. E torna a casa giustificato.

Il fariseo invece non torna a casa giusto, ma rimane imprigionato nella sua giustizia.

La sua preghiera non è ascoltata, perché non è una preghiera ma il tentativo estremo di non fare i contri con la propria debolezza e il proprio fallimento.

Se la parabola avesse ragione, potresti smettere di cercare la perfezione e usare la tua povertà per aprire le porte della misericordia del Padre.

Ma tu vorrai essere come il pubblicano o continuerai a difendere la tua presentabilità?

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