Gli disse: «La tua fede ti ha salvato!» XXVIII Domenica del tempo ordinario (anno c) - 9 ottobre 2016

Dal Vangelo secondo Luca

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.

Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.

Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.

Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

(Lc 17, 11-19)


Commento a cura di Andrea Busia

Ai tempi di Gesù la lebbra era, per ragioni sanitarie     e sociali, una delle cause principali di esclusione. Ai lebbrosi era fatto divieto l’avvicinarsi alle altre persone e dovevano essere chiaramente riconoscibili anche a distanza attraverso segni visibili e acustici. La loro esclusione era perciò praticamente totale. Per questa ragione i dieci lebbrosi del brano che la liturgia ci propone questa domenica restano a distanza e parlano a voce alta per farsi sentire da Gesù. La loro è una richiesta molto vaga, si rivolgono a Gesù chiamandolo semplicemente «maestro», non «figlio di Davide» o titoli che lascerebbero pensare alla richiesta di un miracolo. Cosa essi volessero di preciso non ci è dato saperlo: qualcosa da mangiare, una parola di conforto? La risposta di Gesù deve essere suonata ai loro orecchi invece estremamente chiara: i sacerdoti erano coloro che avevano il compito di diagnosticare la lebbra secondo quanto aveva ordinato Mosè e che era stato scritto nel libro del Levitico (Lv 13). Una volta diagnosticata la lebbra (come era il caso di questi 10 lebbrosi) si tornava dai sacerdoti solo per constatare una guarigione. L’invito di Gesù, «andate a presentarvi ai sacerdoti», è quindi suonata ai loro orecchi come una promessa di guarigione.

Una promessa che sappiamo essersi realizzata mentre loro eseguivano quanto Gesù li aveva invitati a fare: erano stati tutti purificati, erano sani e potevano rientrare nella società, potevano avere rapporti normali con i loro familiari e i loro amici.

Però solo uno dei dieci completa l’opera: torna da Gesù, riconosce che in lui ha agito Dio e ringrazia. Quanto è facile chiedere e, quando si è ottenuto, dimenticare chi ci ha beneficato.

Se l’educazione e la civile convivenza ci fa sentire in dovere di dire «grazie» a una persona che ci aiuta, non sempre capita lo stesso verso il Signore. Tutto ci è dovuto: dovremmo ringraziare ogni giorno per il dono della vita, per averci messo accanto delle persone che ci amano, per la salute, chi la ha, e per non averli lasciati soli nella sofferenza, perché cerca in ogni modo di salvarci. Rendere gloria a Dio vuol dire proprio questo: ricordare nel nostro cuore le grandi cose che ha compiuto in noi e per noi ringraziandolo e, allo stesso tempo, aiutare gli altri a vedere i doni di Dio, testimoniando il suo amore con la gioia che ci deriva dalla risurrezione del Figlio. Non è un caso che il vangelo di Luca, già all’inizio, ci proponga, oltre al canto degli angeli «Gloria a Dio nell’alto dei cieli», tre cantici di lode: il Magnificat di Maria, il Benedictus di Zaccaria e il Nunc dimittis di Simeone. Il vangelo di Luca (con il libro degli Atti degli apostoli) è un grande invito a «rendere gloria a Dio». L’invito del vangelo odierno è quello di unirci agli angeli e ai santi e iniziare già oggi a lodare Dio facendo memoria dei suoi doni.

«La tua fede ti ha salvato»: anche in questo atteggiamento di gratitudine si vede la nostra fede, è difficile dire di avere fede in Dio se non ci ricordiamo di ringraziarlo per i suoi doni. Se abbiamo fede in lui non possiamo non sentire il desiderio, il bisogno, di ringraziarlo.

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