Voi siete la luce del mondo, voi siete il sale della terra

V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Foto Siciliano/Gennari- Sir

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?

A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.

Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

(Mt 5,13-16)

Commento a cura di don Raimondo Mameli

Durante il discorso sulla montagna, dopo aver esposto le beatitudini, Gesù, che ama parlare utilizzando termini immediatamente decodificabili, ma con una molteplice valenza semantica, affida ai suoi discepoli il compito di essere sale della terra e luce del mondo. Il sale, nella giusta quantità, dà gusto agli alimenti e li preserva dalla decomposizione. Inoltre, applicato alle ferite, le disinfetta.

La Bibbia presenta il sale come un simbolo di fedeltà, utilità, sapienza, e purificazione.

Il sale è anche simbolo dell’alleanza tra Dio e l’uomo.

Come simbolo di amicizia, il riferimento al sale è culturalmente trasversale e lo troviamo nell’Etica Nicomachea di Aristotele: «…non si arriva a conoscersi reciprocamente prima di aver consumato una quantità di sale, e quindi prima di ciò non ci si può accettare e riconoscere reciprocamente come amici, prima cioè che ciascuno si mostri all’altro come degno di amicizia e di fiducia».

Per essere amici bisogna quindi mangiare il sale insieme, come Cristo ha fatto con i suoi. Nella versione greca della Bibbia (LXX), quando ci si riferisce allo stare insieme a tavola di Gesù con gli apostoli si utilizza il verbo synalizomenos (letteralmente, «condividendo il sale»), ossia «mangiando insieme».

Essere sale della terra vuol dire anche, se si pensa al contesto in cui è stata istituita l’Eucarestia, farsi dono per gli altri: «Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri» (Mc 9,50).

Il cristiano è chiamato ogni giorno a lavorare per consegnare ai posteri un mondo migliore e vivibile, decidendo, per dirla con Tolkien, come disporre del tempo che ci è dato.

Essere il sale della terra significa aprirsi al prossimo come soggetti capaci di dare sapore alle nostre relazioni, purificare i nostri cuori, preservare dalla corruzione noi stessi e chi ci sta intorno con una condotta di vita irreprensibile, guarire le ferite che aspettano nel cuore di ogni uomo.

Gesù tuttavia ci rammenta che il sale, se perdesse sapore, dovrebbe essere gettato via e calpestato.

Ogni discepolo è chiamato a vivere e testimoniare la bontà del Vangelo, annunciandone con entusiasmo la perenne attualità, perché non gli si dica, come al vescovo di Laodicea: «Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3, 14-20). 

C’è poi un secondo, importantissimo simbolo: la luce, che è anche la prima delle opere create (Gen 1,3: «Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu»).

È un simbolismo che percorre tutta la Sacra Scrittura, dalla prima all’ultima pagina.

Nel libro dell’Apocalisse leggiamo: «Non vi sarà più notte, e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà. E regneranno nei secoli dei secoli» (Ap 22,5).

Ogni discepolo di Gesù, illuminato da Cristo, «capace di partecipare alla sorte dei santi nella luce» (Col 1,12), deve vivere come figlio della luce, illuminando a sua volta, attraverso la testimonianza cristiana, un mondo abbagliato (o, con un ossimoro, ottenebrato) da finte luci che in realtà sono tenebra

Come leggiamo in San Giovanni, «Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna» (1Gv 1,5), perciò non ci devono essere tenebre nelle nostre vite, nei nostri cuori, nelle nostre relazioni, perché «Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo» (1Gv 2,9-10).

Siamo chiamati ad essere theophóroi, portatori di Dio, che in Cristo si rivela come «luce del mondo» (Gv 8,12; 9,5).

Gesù, come ricordava monsignor Luigi Negri in un suo bel libro, è destino dell’uomo, in Lui sussiste quella pienezza di luce e di vita il cui desiderio è iscritto nel cuore di ogni uomo.

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