Abbracciare «il noi» la nuova identità comune

Domenica si celebra la 107ma Giornata del Migrante e del Rifugiato

«Verso un noi sempre più grande» è il tema scelto da papa Francesco per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. 

La scelta richiama i contenuti della più recente enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale di papa Francesco «Fratelli tutti», ed  evidenzia la necessità di dover compiere noi stessi un percorso che, sebbene soltanto figurato, è speculare rispetto a quello dei migranti e a tratti non meno faticoso e impervio. 

In risposta all’attuale contesto politico e sociale,  dominato da costante incertezza, la tendenza prevalente è quella  di aggrapparsi a identità e gruppi sociali che accomunano per analogie, vere o presunte, dei propri membri, accentuando le differenze rispetto a chi non vi appartiene ed enfatizzando la dualità tra il «noi» e il «loro».  

Eppure, il crescere di interconnessioni e di comunicazioni globali, i fenomeni di cambiamenti climatici e dei relativi effetti, che già si ripercuotono senza curarsi dei confini e degli interessi delle nazioni, dovrebbero rendere più tangibile il destino ultimo di unità riservato a tutti gli abitanti della terra!

Come sottolineato  dall’arcivescovo  metropolita di Cagliari, Giuseppe Baturi: «in questo periodo abbiamo conosciuto il valore dell’interdipendenza che per diventare solidarietà richiede che ciascuno scelga di aprirsi verso l’altro…».

«Verso un noi sempre più grande» si prefigura pertanto come chiamata a una «rivoluzione» sul piano sociale  e religioso.

Papa Francesco si appella alla forza di trascendere ogni alterità e di abbracciare una nuova identità comune, che sia quella di un «noi» inclusivo, nel rispetto delle reciproche differenze, senza velleità di proselitismi, né riserve o paure.

Quella dell’accoglienza non è che il primo momento, già tempo addietro, il Santo Padre aveva indicato un percorso di declinazione di quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.

A essi, già nella Giornata mondiale del 2020, il Papa, alla luce della generale esperienza della pandemia e quella sua personale di contemplazione sull’ultimo anno trascorso, aveva voluto aggiungere altre sei coppie di verbi che perfezionano il percorso verso una piena integrazione: conoscere per comprendere, farsi prossimo per servire; ascoltare per riconciliarsi; condividere per crescere; coinvolgere per promuovere e collaborare per costruire. 

Oggi, alla vigilia della 107a Giornata del migrante e del rifugiato, il percorso è quindi ben definito, non resta che passare all’azione: uscire all’incontro verso l’altro e impegnarsi per un concreto rinnovamento politico e sociale.

Tra i punti chiave da cui partire: le politiche di gestione dei flussi migratori e il diritto di cittadinanza.

In particolare, nell’ambito di quest’ultimo tema, sono state di recente proposte alcune soluzioni intermedie tra visioni opposte nel dibattito sull’acquisizione del diritto di essere riconosciuti cittadini.

Si tratta dello «ius culturae» e dello «ius soli» temperato, che configurano lo status di cittadino, non come una situazione «subita» (ad esempio nascita sul territorio o nazionalità dei genitori), ma come azione (ad esempio conseguimento di un titolo di studio oppure una combinazione di fattori quali: nascita sul territorio, residenza effettiva per almeno dieci anni, conferimento di un titolo di istruzione primaria).

Le obiezioni a tali modelli sono molteplici ed esaltano l’incongruenza di un’associazione tra i concetti di integrazione e scolarizzazione, l’impossibilità di raffrontare risultati ed esiti perché gli «istituti» sono nuovi e non trovano applicazione in Europa.

È comunque indubbio che attraverso la scuola, le nuove generazioni di migranti siano chiamati a un continuo confronto e quindi all’integrazione con la società che li accoglie.

Essi, comprendendo e assorbendo significati e valori, cessano al fine di essere percepiti come minaccia di instabilità sociale. Da cristiani, occorre accettare il dibattito, mediare, ma restare compatti sull’idea di voler affermare l’amore sociale.

«L’amore sociale», prosegue l’arcivescovo Baturi «introduce un cambiamento che, facendo perno sulla storia individuale delle persone, contribuisce all’edificazione della società del rispetto…». 

È  un’opera progressiva che porta a far convergere tutte le periferie del mondo verso un unico piano di reciproca appartenenza.

Padre Stefano Messina, direttore Ufficio Migrantes

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