Minori morti e feriti, altri fuggono: i traumi sui piccoli. Parla la pedagogista Rita Sedda.
Tra le vittime di tutte le guerre molti sono minori, bambini e ragazzi, sia quelli direttamente colpiti dal conflitto, sia quelli che lo vivono attraverso i mass media.
Per loro il conflitto è un trauma, come lo è per gli adulti. «La guerra – dice Rita Sedda, pedagogista della Cooperativa Sociale “La Clessidra” – è sempre un evento traumatico e come tale ha conseguenze psicologiche, soprattutto a lungo termine.
Con un evento bellico, i bambini assistono e subiscono uno stravolgimento repentino di una quotidianità che era fatta di certezze e punti di riferimento, i quali in un attimo vengono a mancare.
Aiutiamo i bambini.
La quotidianità fatta di certezze, lascia il posto ad una fatta di insicurezze, paura e dolore, specie se i bambini hanno anche subito dei lutti.
Oltre a ciò i bambini assistono alla disperazione degli adulti e questo non fa altro che aggravare lo stato di paura e di disorientamento.
Tutto ciò richiede, anche se non nell’immediato, un supporto emotivo e psicologico per evitare che questi piccoli sviluppino ansia, insonnia, crisi di panico sino ad arrivare alla cosiddetta sindrome dallo stress post traumatica.
Ci sono poi i nostri figli, che vivono insieme a noi il dramma. Come aiutargli a leggere quanto accade?
Anche la guerra come altre condizioni della vita, ci appartiene.
Noi adulti speriamo sempre che i nostri figli non vivano situazioni dolorose, ma non dimentichiamo mai che oggi hanno diversi strumenti che consentono loro di essere costantemente informati.
Sicuramente ci sono cose da non fare: una è far finta di nulla, l’altra è tener presente l’età dei nostri bambini.
Dare risposte è necessario, in quanto sappiamo che i bambini che non hanno risposte le cercano da soli.
Aiutiamo i bambini.
È per ciò importante affrontare l’argomento con un atteggiamento di speranza e di rassicurazione, senza creare ulteriore ansia o panico.
Parliamo della guerra ai più piccoli, magari facendoci aiutare da un libro che li introduca all’argomento; questo ci aiuterà anche a capire come loro si sentano e sarà nostro compito saper leggere emozioni e stati d’animo, rassicurandoli e sostenendoli emotivamente.
Avere la percezione che l’adulto lo capisca e lo accolga nei suoi sentimenti, è molto importante per il bambino, perché darà modo di aprirsi con più tranquillità.
Per i più grandi è importante parlarne nelle scuole, a casa, argomentando non solo però le conseguenze di una guerra, ma stimolandoli verso un’educazione alla pace e all’accoglienza.
Se è vero che ci sono adulti che prendono decisioni gravi e drastiche, è altrettanto vero che ce ne sono altri capaci di trovare soluzioni.
Evitare le guerre, significa educare alla pace, il che non deve essere fatto solo in tempo di guerra.
Sono arrivati minori non accompagnati, orfani della guerra. Come sostenerli in questa fase così delicata della loro vita?
Anche in questa occasione coinvolgendo i nostri figli, raccontando loro cosa i coetanei stanno vivendo.
Credo sia utile per sviluppare un’empatia capace di accogliere con maggiore forza il dolore altrui.
L’esperienza mi ha insegnato che spesso i bambini hanno molte più risorse degli adulti, soprattutto quando hanno a che fare con i loro pari.
È importante ripartire però da piccoli gesti quotidiani, capaci di ridefinire una condizione di cura e sicurezza che improvvisamente è venuta a mancare a milioni di famiglie.
Il resto avrà bisogno di tempo, ne siamo consapevoli.
Aiutiamo i bambini.
Sappiamo anche che piccoli gesti possano avere un grande significato, soprattutto quando sembra che ormai l’imprevedibilità stia abitando la nostra vita.
Roberto Comparetti
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