Aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna

III Domenica di Quaresima (Anno C)

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici.

Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò.

Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”.

Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

(Lc 13,1-9)

Commento a cura di Davide Piras

Dopo il secondo annuncio della passione, che i discepoli non vogliono accettare (cf. Lc 9,43-45), e la decisione ferma e solenne di compiere la salita verso Gerusalemme, resa in modo plastico con l’indurimento del suo volto (v. 51), Gesù continua a rendere presente il Regno con la parola e con i fatti. 

Come abbiamo visto nelle due domeniche precedenti, Lui è per noi l’Israele compiuto, il Figlio, l’amato, Colui che il Padre ci dice di ascoltare, perché rifiuta la proposta del diavolo di una figliolanza mondana, a costo di accettare la più dolorosa solitudine. 

Aveva piantato un albero.

In questa terza domenica di Quaresima Gesù ci avverte che la conversione a Lui, al suo stile filiale, è una questione di vita o di morte; che la voce del Padre ad ascoltare il Figlio suo non è affatto una scelta opzionale. 

I due fatti di cronaca pronunciati da Gesù hanno l’obiettivo di trasformare un’idea religiosa e mondana della sofferenza e della morte stessa, intese come conseguenza di una colpa e di un peccato commessi e perciò da espiare, in occasione favorevole per accogliere la novità del Regno. 

Quei Galilei trucidati nel tempio da Pilato a motivo delle loro aspirazioni di libertà, in realtà non avevano un peccato più grande di tutti gli altri Galilei. 

Neppure la catastrofe della torre crollata a Siloam, a sud di Gerusalemme, sui diciotto uomini è da attribuire a una loro colpevolezza, superiore a quella degli altri.

Non dimentichiamo che Gesù, galileo anche Lui, sta salendo verso Gerusalemme, consapevole di quanto dovrà soffrire, del fatto che devono compiersi in Lui quanto Mosè ed Elia gli hanno confermato sul Tabor; e che proprio nella Città santa, fuori dalle mura e non nel tempio, subirà il più crudele castigo riservato ai reietti e ai maledetti. 

Aveva piantato un albero.

Tuttavia, sia i galilei sia i siloamiti sono morti tragicamente senza aver senza aver fatto proprio lo stile filiale di Gesù. Egli a noi dice oggi per ben due volte: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo!» (vv. 1-5). 

Se non accogliamo la logica del Regno inaugurato dal Nazareno, se non accettiamo di obbedire a Lui, Figlio obbediente del Padre, e di salire dietro di Lui e con Lui a Gerusalemme, la nostra morte non sarà per nulla diversa da quei Galilei o da quei Siloamiti ricordati da Gesù. Periremo tutti allo stesso modo. 

Proprio per evitare questo orizzonte di morte sterile, Gesù per noi pronuncia la parabola del fico: ci pone dinanzi la pazienza di un vignaiolo straordinariamente misericordioso, il quale riesce a placare momentaneamente il verdetto ineluttabile del suo padrone, infastidito dal fatto che il fico piantato nella sua vigna per tre anni non gli abbia dato frutto.

Si può ancora tentare di fare ciò che normalmente nessuno faceva e fa con un albero di fico, ovvero scavargli attorno e concimarlo: si tenta tutto il possibile

Sconcerta il fatto che al comando del padrone nei riguardi del fico: taglialo, il vignaiolo replichi: lo taglierai! (vv. 6-9). 

La pazienza del vignaiolo sarà verificata in ultima istanza dalla decisione del padrone: il lasso di tempo che intercorre tra la prima e la seconda è tempo di salvezza, non sprechiamolo. 

RIPRODUZIONE RISERVATA
© Copyright Il Portico