Il 25 gennaio 1923 monsignor Angioni dava avvio all’attività
Da 100 anni il «Buon Pastore» è un laboratorio di carità.
L’anno appena iniziato sarà dedicato al «Buon Pastore» l’opera caritativa, avviata un secolo fa dal venerabile monsignor Virgilio Angioni. Un anniversario che non solo la Chiesa sarda, in particolare quella diocesana di Cagliari, ma numerose amministrazioni locali, prima di tutto quella del capoluogo, dovrebbero mettere in bella evidenza nell’agenda dei loro impegni.
Chiesa e municipalità, infatti, grazie al «Buon Pastore» hanno potuto registrare pagine luminose di solidarietà.
Tutto è iniziato a Cagliari il 25 gennaio 1923. Due bambine di famiglia povera – Antonia ed Efisia Banchero – vengono ospitate in una casa di via San Domenico 60 – poco lontano dalla parrocchia di San Giacomo.
Le piccole vengono assistite da due anziane suore domenicane, poi sostituite dalle «Suore francesi», così i cagliaritani chiamano ancora oggi le francescane di Seillon.
Sei mesi in questa sistemazione provvisoria, quindi il trasferimento, il 24 giugno 1923, nell’ex convento cappuccino di San Benedetto, dove aveva fatto il noviziato Sant’Ignazio da Laconi.
Intanto le bambine sono diventate 12.
Saranno 18 nel successivo mese di agosto.
Dopo un anno le ragazzine «in collegio» sono 54.
Regista, animatore e iniziatore di questa avventura caritativa «pilotata» dalla Provvidenza, è il quartese monsignor Virgilio Angioni, 45 anni (due lauree, Teologia e Diritto canonico, diploma in Sociologia, Pedagogia, Ascetica e Pastorale al collegio «Leoniano» di Roma), da 18 anni parroco nella comunità ecclesiale della parte più antica del quartiere di «Villanova».
Sacerdote abituato alla prima linea pastorale e sociale.
Non gli piace l’idea di un clero chiuso in sacristia mentre l’uomo ha bisogno di essere incontrato e «convertito» nelle strade del mondo. Non solo preti protagonisti, ma anche i laici.
Messaggio trasmesso dal giovane sacerdote Angioni ai giovani del circolo «Leone XIII».
Con loro pubblica il settimanale «Il Lavoratore», per ampliare la platea delle sensibilità ai problemi sociali e politici in generale e a quelli locali, con un’attenzione particolare alla crescita culturale ed economica del ceto operaio.
Giornalista brillante, d’inchiesta, racconta con realismo i problemi degli ultimi della società cagliaritana del primo quarto del XX secolo.
Nei 18 anni di impegno nella parrocchia di San Giacomo, numerose realizzazioni educative e formative si devono all’Angioni: assistenza alle famiglie dei militari impegnati nella prima guerra mondiale e agli studenti universitari, che si radunano settimanalmente nella sua casa; scuola serale in via san Giovanni per favorire l’alfabetizzazione dei lavoratori; la «Casa del popolo» (palazzo Valdès in viale Regina Elena) per l’aggregazione e il servizio sociale alle categorie più deboli; la «Casa del soldato» nel 1916 per l’assistenza religiosa ed epistolare ai militari al fronte, l’Unione Femminile del Sacro Cuore.
Difficile stabilire quando è scoccata la scintilla che ha portato monsignor Virgilio Angioni a interessarsi dell’infanzia abbandonata di Cagliari.
«Mentre era ancora parroco a San Giacomo – ha detto uno dei suoi collaboratori, il giudice Antonio Dessì – aveva dato inizio a un’Associazione religiosa di donne di diversa età che andavano anche nelle osterie a fare apostolato invitando anche alla preghiera del rosario».
«Ricordo – ha riferito Angela Bottero nella testimonianza resa per la causa di beatificazione – che egli aveva scelto alcune tra le giovanissime che operavano nella parrocchia, tra le quali ero io, per un gruppo di donne povere e analfabete, col compito di insegnare loro a leggere e scrivere…».
Monsignor Luigi Cherchi – attento osservatore delle vicende della chiesa diocesana – spiega il passaggio di Angioni da parroco a fondatore dell’Opera del Buon Pastore come una sorta di «conversione eroica».
«Tutto questo significa che la sua Opera non era un impegno come si dice umanitario, ma un’attività sempre e solo motivata da carità soprannaturale».
Da 100 anni il «Buon Pastore» è un laboratorio di carità.
Mario Girau
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