I carismi parlano ancora al mondo d’oggi

Parla suor Rita Lai, vice direttrice dell’Ufficio diocesano per la Vita Consacrata

Il 2 febbraio ricorre la Giornata della vita consacrata.

All’Ufficio diocesano è affidato il compito di portare avanti le attività e a monitorar lo stato di salute delle congregazioni presenti in diocesi. 

«Il discorso che facciamo – dice suor Rita Lai, vice direttrice dell’Ufficio diocesano per la Vita Consacrata – è in realtà valido in generale, non solo per la diocesi. Le congregazioni vivono un momento difficile, sia al loro interno, sia all’esterno.

All’interno un fenomeno che segna il suo vertice in questi ultimi anni: una sorta di riflessione o presa di coscienza della propria collocazione come religiosi, e la conseguente mancanza di risposte esaurienti, se non addirittura la certezza di non essere al proprio posto in un Istituto.

A questo si aggiunga la pressione di una società che sempre più trova insulsa o quantomeno fuori moda una scelta di questo tipo, anche con le sue (della società odierna) proposte completamente antitetiche, basate sull’apparenza, sulla ricerca di un piacere effimero e soprattutto su scelte di vita non definitive ma “mordi e fuggi” che contrastano con la scelta per sempre, come prevede la vita religiosa. 

I carismi sono tanti, le esperienze pure ma i bisogni delle persone di oggi sono cambiati. Come rispondere alle nuove sfide.

Questa stessa domanda è una sfida.

Dinanzi ad una società in continua evoluzione, in cui è comunque forte il senso di una “vita dedicata”, di una esistenza in cui l’amore, il vangelo e Gesù Cristo hanno la prima parola…noi non possiamo sottrarci alla sfida.

Tutti i carismi hanno qualcosa da dire ancora al mondo d’oggi…ma occorre capire con quale linguaggio, in quale modalità.

Perché finché noi ci terremo stretti i nostri “si è sempre fatto così”, le nostre regolette, finché non capiremo che l’istituzione è a servizio del Vangelo e della Chiesa e non il contrario, e che le nostre amate Famiglie religiose possono anche scomparire (come tante volte è capitato nella storia) ma ciò che non può morire è il nostro semplice volerci bene in una vita ancora bella…ecco, finché noi non riusciremo a uscire da questi schemi…la nostra vita sarà una profezia vuota.

Quello che rende la nostra vita sale e luce è la narrazione di un amore che ha trafitto la nostra esistenza ed è diventato poi dono per tutti.

Papa Francesco continua a chiedere attenzione agli ultimi, tra le preoccupazioni delle vostre congregazioni. Come conciliare azione e contemplazione?

La domanda ha come due piani. Sono due terreni diversi.

Per ciò che concerne l’attenzione agli ultimi…si è fatto un gran parlare delle ricchezze degli Istituti, della bellezza delle case, dei beni profusi nella costruzione delle nostre cappelle e chiese.

È certo, come dice qualcuno, che i religiosi saranno gli ultimi ad avere problemi di sussistenza, ma è altrettanto vero che ciò che appare come un lusso è quasi sempre frutto di un lavoro durissimo, senza risparmio per le proprie forze, quasi sempre a servizio degli ultimi.

L’Istituto nasce nella Chiesa per riempire un bisogno, colmare un vuoto…l’“ultimo” è nel nostro DNA, nelle nostre corde.

Poi, nel corso della storia, si può perdere la strada, lasciarsi incantare dalle sirene che cantano la canzone del denaro, del potere….

Quindi anche noi dobbiamo tornare alla difficile arte della condivisione dalla quale siamo partiti…e riscoprirla.

Azione e contemplazione: è l’eterno conflitto tra Marta e Maria, così come l’abbiamo malamente interpretato.

Nulla di più falso.

Nel brano non c’è contrapposizione, ma due modi diversi di servire il Signore. L’azione si deve nutrire di contemplazione e la contemplazione deve tradursi in azione.

Siamo noi che contrapponiamo, il Signore no.

E neppure la Chiesa.

Una sana armonia tra entrambe le dimensioni è garanzia di una vita serena ed equilibrata.

Roberto Comparetti

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