Il fariseo stava in piedi, il pubblicano non alzava gli occhi

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:

«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». 

(Lc 18,9 -14)

Commento a cura di Carlo Rotondo

Un saluto dall’Africa.

Quarta domenica di ottobre e Giornata Missionaria Mondiale.

E, di gusto, gioisco nel notare un accostamento strepitoso tra il tema della Giornata missionaria mondiale, «Di me sarete testimoni», e Vangelo di questa domenica, con la nota parabola del fariseo e del pubblicano che salirono al tempio a pregare.

Vedo in quest’accostamento la richiesta, da parte di Dio, di una testimonianza di vita non tanto legata a chissà quale atto eroico ma che parta dall’autenticità di ciò che sono. 

Parafrasando il detto di Gesù «La verità vi renderà liberi» oggi direi: la verità vi renderà missionari. 

Troppo spesso, infatti, la nostra è una missionarietà camuffata di perbenismo, teatrante, mascherata da eroismo à la carte, dove ciò che conta è unicamente quanto si dona: l’elemosina del menefreghista, di chi vuol liberarsi di una scocciatura e va a letto con la coscienza pulita… perché non l’ha usata. 

Dio, oggi e sempre, ci invita a guardarci dentro in verità e, riconoscendoci per quello che veramente siamo, vivere in verità. 

La missione non è dare qualcosa ma dare Qualcuno: dare me stesso e dando me stesso dono Dio.

Perché dare qualcosa è elemosina, dare Qualcuno è carità.

Il fariseo stava in piedi.

Da tanti anni mi accompagna un proverbio che mi piace ripetere ancora una volta: «Se ti dono un fiore ti ho dato solo un fiore ma se col fiore ti dono anche me stesso ti ho regalato la primavera». 

La missione oggi, entrati da 22 anni nel terzo millennio, chiede nuove primavere, perché da troppo tempo stiamo vivendo e conoscendo inverni sempre più rigidi, con l’indifferenza e l’apatia che stanno raggiungendo temperature siderali. 

Con l’avvento di papa Francesco c’è stata una rivoluzione copernicana della missionarietà, eliminando una «e»: «Non più sacerdoti e missionari, consacrati e missionari, suore e missionarie, catechisti e missionari, cristiani e missionari, ma preti missionari, consacrati missionari, suore missionarie, catechisti missionari, cristiani missionari…».

Papa Francesco ci sta aiutando, col suo concreto ministero, a riscoprire la bellezza dell’aggettivo missionario, caratteristica di tutte le componenti ecclesiali e non prerogativa unicamente di chi, sostantivo, svolge l’attività del missionario. 

Un terremoto pentecostale! 

Il fariseo stava in piedi.

Un vento gagliardo che ha disturbato le coscienze farisaiche di un cristianesimo comodo, apparentemente gentile, ricco epulone che mostra la sua generosità lasciando cadere (non donandole, nemmeno quelle) le briciole di tempo, di pane, di servizi, e anche d’amore dalla tavola del suo cuore. 

Un cristianesimo che deve morire perché un cristianesimo così uccide anziché donare vita.

Il cristianesimo dei farisei trasforma i sorrisi in ghigni, gli abbracci in cappi, i sogni in incubi e le feste in funerali. 

Essere missionari oggi mi chiede di riconoscere chi sono io davanti a Dio: un peccatore, un salvato, un amato nonostante tutto, un figlio riabbracciato, una pecorella smarrita per il troppo orgoglio e cercata giorno e notte, un perla preziosa tolta dalle fauci bavose dei maiali. 

Solo davanti a questa mia verità capisco che posso donare pane che sfama, medicine che guariscono, solidarietà che migliora la vita, parole che rincuorano e amore, tantissimo amore, che cambia la vita degli altri … perché ha cambiato la mia: «Sono un prete felice!».

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