Le storie dei rifugiati ucraini accolti a Varsavia
Foto Agensir
Il nuovo equilibrio in una vita sospesa.
Conclusa l’eucarestia i fedeli si spostano nella piccola navata laterale.
La lunga cantilena del sacerdote è una preghiera speciale per i morti in guerra. Anche i bambini, prima liberi di alternare gioco e liturgia, ascoltano solenni.
È un sabato mattina luminoso a Varsavia.
I fedeli sono tutti ucraini nella chiesa di Santa Sofia. Fra loro ci sono anche Victoria e le sue tre bambine.
Per capire qualcosa dell’esilio vissuto oggi da almeno sei milioni di rifugiati basta seguirle nel loro appartamento di periferia.
I condomini bassi e grigi d’epoca sovietica premono su entrambi i lati della strada, si avvicinano in entrata e in uscita, creando un piccolo microcosmo di automobili, biciclette e passeggini abbandonati, saluti e richiami.
«Lui è ucraino, e anche lei, anche loro. Siamo molto uniti, ci aiutiamo, siamo una sola grande famiglia», spiega Victoria.
Il minuscolo appartamento è una baraonda di giocattoli e vestiti.
L’unica stanza da letto è per Dimitri, impegnato anche oggi in un lungo turno di lavoro nell’edilizia.
Dal riposo dipende ogni cosa.
Fino a marzo 2022 il capofamiglia viveva da solo, spediva le rimesse ogni mese a Dnipro.
Poi l’invasione russa, la fuga, il nuovo equilibrio della vita sospesa.
«I polacchi sono stati molto generosi con noi, ma integrarsi completamente resta difficile. Vorrei solo che questa guerra finisse, così tanti fra i nostri giovani muoiono ogni giorno al fronte. Ma non so se cambierebbe davvero qualcosa per noi. Tornare in un paese devastato? Forse si aprirebbero delle opportunità. Forse», dice Victoria.
«Molti ucraini oggi si sono adattati alla nuova vita in Europa, Canada e Stati Uniti. Temo che almeno metà non torneranno a casa. Questo sarà un problema per il futuro della nazione. Lui presto tornerà in Ucraina a combattere, è qui in licenza, ma ciò non gli ha impedito di sposare la sua bella», dice Roman Drosdz, direttore del coro della chiesa di Santa Maria, indicando Andrej ed Helena che, accompagnati dai soli testimoni hanno appena concluso il rito, si avviano a festeggiare in sacrestia.
Sull’espresso notturno diretto a Kiev centinaia di ucraini tornano a casa per abbracciare chi è rimasto, risolvere incombenze con le tasse o con la legge, far incontrare nonni e nipoti, ascoltare la voce amica del medico di fiducia.
Nelle due ore di pausa a Chelm, sul confine, riempiono ordinatamente i supermercati che ormai hanno sistematicamente esteso l’orario di apertura.
Mangiano silenziosi sul prato e le panchine, sui gradini della stazione.
Li illumina uno spicchio di luna.
Anche se il conflitto rende impossibili o effimere le statistiche, molti operatori umanitari concordano nel rilevare l’enorme aumento nella capitale dei senzatetto.
Le stime della Banca Mondiale immaginano che fino al 55% della popolazione ucraina viva sotto la soglia della povertà.
Alcune stime arrivano all’80%.
Gli aiuti occidentali e lo spirito resistenziale hanno stabilizzato l’economia, e grandi investimenti sono attesi per la ricostruzione, stagione difficile da immaginare oggi, con il fronte in stallo e un desiderio, da parte ucraina, di piena vittoria sull’invasore.
Nella «Casa della Misericordia», rifugio per senzatetto di Dniprovsky, estrema, umile periferia della capitale, vive da tre anni Nicolaj.
È arrivato qui dopo dieci anni di vagabondaggi, cominciati con un infarto che ne ha menomano la mobilità e la parlata.
Un passato da migrante e un presente da studente autodidatta d’informatica, impegno utile soprattutto a trascorrere l’eterno ritorno dei giorni sempre uguali. «Ho trovato la fede soltanto da adulto, ho dovuto sbagliare tanto per essere pronto. Ma adesso conosco lo scopo della mia vita sulla terra. Sono un pescatore d’uomini, e quando tutto sarà finito andrò in giro a portare la parola del Cristo. La pace innanzi tutto. La guerra è per chi non ha ancora trovato la luce».
Ascoltano il suo inglese con rispetto, senza capire i compagni di stanza. Andrej e Dimitri, ciechi. «Walter», anche lui offeso da un infarto in una fredda notte per strada, molti anni fa ormai: «Guerra o pace per noi è lo stesso, non cambia mai nulla».
Luca Foschi- Inviato a Kiev
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