A distanza di 22 anni dall’ultimo si ripete il Convegno dei presbiteri della Sardegna. Un appuntamento che nasce dopo due anni di lavoro della Commissione regionale e dall’esigenza percepita dai sacerdoti che ne fanno parte, e come risposta alle sollecitazione che la Conferenza episcopale italiana, la quale ha dedicato due Consigli permanenti alla tematica della «formazione permanente del clero». A tale avvenimento partecipano anche i vescovi delle diocesi sarde, un ulteriore segnale di volontà di condivisione che si aggiunge a quella dei sacerdoti e coinvolge anche i pastori della nostre Chiese. Anche la partecipazione dei seminaristi del Seminario regionale è un ulteriore tassello che si aggiunge agli altri, per far sì che la Chiesa sarda si ritrovi per un momento di condivisione presbiterale, che è intrinseca nell’identità del sacerdote che è uomo di comunione, prima ancora che nelle comunità a lui affidate, con il presbiterio di cui fa parte.
Il vescovo Mauro Maria Morfino, nella lettera d’invito, scrive che «il senso di appartenenza fraterna al proprio presbiterio costituisce, oggi più che mai, la chiave di volta della formazione permanente».
Il sacerdote, infatti, non è formato una volta per sempre, ma accanto alla formazione iniziale che si riceve nel Seminario maggiore prima dell’ordinazione sacerdotale, vi è quella che deve essere perseguita per tutto il tempo del ministero. Da qui nasce la consapevolezza di avere bisogno di essere continuamente formati, insieme alla volontà ferma di portare avanti specifici percorsi, partendo dal presupposto che, per il sacerdote, il presbiterio di cui fa parte è la sua famiglia sacramentale.
Infatti, con il matrimonio due coniugi si scelgono a vicenda e costituiscono una «famiglia elettiva», ma i figli non sono scelti a proprio piacimento dai genitori, ma vengono accolti come dono di Dio, e costituiscono la «famiglia ricevuta». Allo stesso modo, con l’ordinazione, i presbiteri scelgono di far parte della famiglia del presbiterio e accolgono il dono degli altri, a cominciare dal proprio Vescovo, padre ma anche confratello. La comunione prima che nelle comunità alle quali si è affidati, richiede di essere vissuta nella famiglia del presbiterio. Anche un eventuale «successo pastorale» ottenuto a livello locale, parrocchiale, a scapito della comunione all’interno della comunità presbiterale, sarebbe molto pericoloso perché rischia di generare una sorta di «narcisismo ecclesiale», con la presunzione di sentirsi padroni del gregge affidato dal Vescovo.
Il Convegno è anche un’opportunità per rinsaldare la trama di relazioni tra le diocesi sarde affinché i responsabili delle comunità ecclesiali, tutte unite da una storia, una cultura, una peculiare missione, si sentano partecipi di un mandato comune.
In più occasioni il Santo Padre ha chiesto ai sacerdoti di andare alla ricerca della pecorella smarrita, e spesso è una delle nostre priorità, ma talvolta capita che siano gli stessi preti quelle pecorelle sole: solitudine, estraniamento, autoesclusione, pregiudizi, portano a volte, anche involontariamente, a essere pecore smarrite.
Una maggiore cura per la comunione presbiterale eviterà che lo smarrimento intacchi il rapporto con i confratelli ma soprattutto con il Vescovo, che è chiamato a esercitare la paternità sacerdotale: egli non è un «datore di lavoro» che si relaziona con i presbiteri come con dei «dipendenti».
Anche dalla qualità del rapporto Vescovo-presbiterio dipenderà l’efficacia della evangelizzazione.
Paolo Sanna – Membro della Commissione Presbiterale Regionale e Nazionale
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