La Chiesa chiede la fine dei conflitti e si sforza di ricercare il dialogo
L’ennesimo accorato appello per la fine delle ostilità.
Lo ha lanciato domenica papa Francesco all’Angelus, rivolgendosi direttamente al presidente russo, Vladimir Putin, affinché fermi la spirale di violenza e morte, e al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, perché sia aperto a «serie proposte di pace».
Un invito a cambiare prospettiva, a trovare vie di dialogo.
Per farlo c’è necessità di mettere da parte le proprie convinzioni e provare ad ascoltare l’altro, così come si legge tra le righe dell’appello di Francesco.
Lo spettro delle armi nucleari, paventato dal leader ceceno, Ramzan Kadyrov, ha messo in allarme il mondo intero: se non si arresterà la spirale di violenza che segna questo come altri conflitti, secondo alcuni osservatori, c’è il rischio che Putin possa valutare un utilizzo minimo di quelle armi.
Ecco allora l’appello del Papa, che conferma la posizione della Chiesa rispetto all’economia bellica, perché la guerra è sempre un errore e un orrore.
Nell’ultimo secolo non c’è Pontefice che non abbia rivolto appelli e inviti a fermare i conflitti in corso o non si sia adoperato come mediatore tra le parti.
Benedetto XV, il 1 agosto del 1917 inviò una «Lettera di Capi dei popoli belligeranti», chiedendo la fine di quella che lui ha definito «un’inutile strage», la Grande Guerra, che ha portato milioni di morti, tantissimi i sardi deceduti nel nord Italia.
Non da meno Pio XII, che nel radio messaggio del 24 agosto 1939 ricordava come «nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo».
San Giovanni XXIII, in piena guerra fredda tra il blocco occidentale e quello sovietico, il 25 ottobre del 1962 lanciò un appello: «Oggi noi rinnoviamo questo appello accorato e supplichiamo i Capi di Stato di non restare insensibili a questo grido dell’umanità. Facciano tutto ciò che è in loro potere per salvare la pace: così eviteranno al mondo gli orrori di una guerra, di cui nessuno può prevedere le spaventevoli conseguenze».
San Paolo VI con il suo «mai più la guerra!», pronunciato in francese il 4 ottobre 1965, in occasione del ventennale della fondazione delle Nazioni Unite, ha ricordato al mondo la brutalità del conflitto.
La guerra è sempre un errore e un orrore.
San Giovanni Paolo II rimase solo nell’opporsi alla guerra del Golfo nel 1991, contro l’Occidente e i governi arabi ed i suoi richiami erano ascoltati con fastidio.
Il 12 gennaio 1991 ricordava al corpo diplomatico accreditato in Vaticano che «le esigenze di umanità ci chiedono di andare risolutamente verso l’assoluta proscrizione alla guerra e di coltivare la pace come bene supremo».
Nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2006 Benedetto XVI facendo riferimento alla guerra si domandava cosa di potesse dire «dei governi che contano sulle armi nucleari per garantire la sicurezza dei loro Paesi?».
Un interrogativo che ancora oggi ci si pone.
Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato, ha ribadito che «chi fa la guerra dimentica l’umanità e non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere. La gente comune in ogni conflitto è la vera vittima, che paga sulla propria pelle le follie della guerra».
«Mi addolorano – ha detto domenica scorsa il Papa – le migliaia di vittime, in particolare tra i bambini, e le tante distruzioni, che hanno lasciato senza casa molte persone e famiglie e minacciano con il freddo e la fame vasti territori. Certe azioni non possono mai essere giustificate, mai!».
Roberto Comparetti
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