Nel corso della Veglia missionaria Giada Melis ha ricevuto il mandato da parte del vescovo e si accinge a partire per l’Etiopia. «Vorrei iniziare – dice – con una premessa: ringraziare il Vescovo per l’invio nella Veglia missionaria. È bello partire avendo ricevuto un invio da parte della comunità ecclesiale di cui mi sento parte e in cui è nata e cresciuta la mia fede. La mia è una scelta di vita, il sogno di adolescente che, poco per volta, ha preso consistenza nella mia vita di giovane adulto. Ho fatto la scelta missionaria andando via di casa già a 20 anni anche se, di fatto, ora parto in Africa dove ho scelto di far parte dell’opera missionaria della Consolata, che ho conosciuto nelle esperienze vissute in Kenya e in Guinea Bissau. Stimo molto il loro carisma di nuova evangelizzazione e di creazione della prima pastorale della prima Chiesa e di promozione umana. In particolare le Missionarie della Consolata lavorano per la promozione della donna, particolarmente svantaggiata in questi territori, e, solitamente, la loro pastorale si realizza negli ospedali, contrastando le problematiche sanitarie, la mortalità infantile, spesso hanno centri nutrizionali e creano delle scuole. Studiare in quelle zone è difficile per tutti ma in particolare per le donne. Il lavoro della Consolata è anche creare promozione della donna capace di scegliere in certi territori a chi essere sposata grazie all’istruzione.
Dove andrai?
All’inizio sarò ad Addis Abeba poi mi sposterò probabilmente nelle zone più interne. Nella capitale etiope c’è una tradizione ecclesiale che risale all’epoca di Salomone e della regina di Saba. È una terra antichissima in cui più del 60% degli abitanti sono cristiani copti ortodossi, mentre i cristiani cattolici sono il 3%. È una roccaforte della tradizione cristiana anche rispetto all’avanzata musulmana che c’è stata nel Medioevo. È una delle poche esperienze in Africa così forti e mi aspetto di ricevere molto da questa tradizione così forte in Etiopia.
Da cinquanta anni è uscito il documento del Concilio Vaticano II sulla Missione «ad gentes». Il mandato ricevuto alla veglia missionaria sarà la conferma di una Chiesa che manda la propria figlia in un’altra terra per portare il Vangelo.
La «Fidei Donum» è il documento base di questa esperienza che è di dono reciproco. Io so di portare la ricchezza della Chiesa italiana e sarda ma so anche di ricevere l’entusiasmo di una fede ricevuta, tipica della nuova evangelizzazione, in questo caso specifico l’Etiopia. So che il confronto sarà con un’altra corrente cristiana, quella ortodossa, che ha una radice storica importante e mi arricchirà molto. Il dono è da considerare reciproco.
Chi ti sta attorno, familiari, amici, che cosa pensano della tua scelta?
Sono partita da casa a 20 anni. Chi mi conosce sa che è un po’ la mia caratteristica quella di non mettere radici, ma di pensare di andare oltre, in particolare negli altri territori. Inizio la formazione nelle Missionarie della Consolata in Africa ma non so se dopo mi verrà chiesto di andare in Asia perché l’Opera ha l’idea di aprire delle missioni in Asia, oppure in America Latina, dove magari opera già da vari decenni. È un desiderio, quello di partire, che ho sempre avuto e che finalmente riesco a realizzare con una famiglia che mi accoglie. Vorrei ringraziare don Marco Lai, direttore della Caritas, per la splendida esperienza fatta nella mia città d’origine, dove ho sperimentato l’importanza di associare all’evangelizzazione la promozione umana nelle sue sfaccettature. Quanto ho ricevuto potrò a mia volta donarlo.
Roberto Comparetti
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