«Sono stati consumati, se non distrutti, alcuni principi, che erano alla base della nostra civiltà, che nasce in Grecia, a cui si aggiunge il cristianesimo. Non c’è più rispetto per l’altro, la morte è diventata banale, tanto che uccidere è una modalità per risolvere un problema. Non c’è più il senso del mistero e del limite dell’uomo». È uno dei passaggi più significativi dell’intervista dell’agenzia Sir allo psichiatra Vittorino Andreoli, subito dopo l’omicidio di un rifugiato da parte di un residente di Fermo, nelle Marche, lo scorso luglio.
La cronaca, quotidianamente, registra fatti (l’ultimo a Sassari dove un uomo ha ucciso la moglie) dove il rispetto della persona o delle sue idee sono di fatto soffocati dall’astio e della paura del diverso, specie se straniero.
Anche il prefetto di Cagliari, Giuliana Perrotta, nei giorni scorsi ha ricevuto due proiettili e una missiva minacciosa, se l’iter per l’apertura del centro di accoglienza per migranti di Monastir dovesse giungere a conclusione.
Un fatto grave che non ha molte similitudini nel nostro Paese, se non nelle regioni dove la criminalità organizzata è ben radicata. Un episodio che mostra, se mai ce ne fosse bisogno, come la cultura del nemico sia terribilmente diffusa. «La superficialità ─ dice ancora lo psichiatra Andreoli all’agenzia Sir ─ porta l’identità a fondarsi sul nemico. Se uno non ha un nemico non riesce a caratterizzare se stesso. Questa è una regressione antropologica perché si va alle pulsioni. Tutto questo è favorito da partiti che sostengono l’odio, lo stesso agire sociale è fatto di nemici».
Parole forti, dure, ma di terribile attualità, che dovrebbero interrogare la coscienza di ciascuno, specie di chi soffia sul fuoco dell’intolleranza fatta di frasi del tipo «Premesso che non sono razzista».
Sintomatico quanto accaduto negli Stati Uniti dove, dopo elezioni che hanno portato alla Casa Bianca il miliardario Donald Trump, una parte degli elettori è scesa in piazza per contestare il risultato. Il responso delle urne ha però dato indicazioni, più o meno discutibili per alcuni, ma pur sempre chiare, come a ogni tornata elettorale.
Politologi di ogni risma hanno versato fiumi di inchiostro sul risultato elettorale americano, come sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, dopo il referendum dello scorso giugno.
Sul prossimo referendum costituzionale del 4 dicembre, al di là delle sirene degli schieramenti in campo, occorre informarsi a dovere, come hanno suggerito i Vescovi. C’è chi vive questo appuntamento come una sorta di duello dal quale dipenderebbe l’esistenza stessa del genere umano. In realtà i problemi del nostro Paese sono ben altri.
Abbandonate le mediazioni aggregative, come le formazioni partitiche, etichettate come lobby, il «mors tua vita mea» sta diventando la cifra delle relazioni anche tra membri della stessa comunità.
Marketing, ricerca di consenso e voti, incoscienza sembrano dunque essere le bussole che guidano le scelte di tanti.
«Questa ─ si legge ancora nell’intervista ad Andreoli ─ è una società falsa, che recita. Andiamo incontro a situazioni che saranno di nuovo drammatiche. Ci vuole più coraggio anche nella Chiesa. Il Papa lo ha avuto nel suo schierarsi dalla parte dei migranti, ma ci sono quelli che non sono d’accordo. Bisogna cominciare a dire che questa nazione deve cercare di far emergere uomini e donne saggi, intelligenti. C’è una ignoranza spaventosa. Bisogna poter parlare, spiegare, capirsi. Occorrono persone credibili per parlare ai giovani, ma la via è sempre quella della cultura. Fare promozione, educazione, dimostrare quanta positività c’è in chi viene odiato, per stimolare al rispetto nei loro confronti».
Allora, prima che tramonti la pacifica convivenza, è necessario invertire la rotta, recuperando la fiducia nell’altro, che non rappresenta il nemico, ma una persona con la quale condividere un cammino comune.
Roberto Comparetti
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