La RU486 banalizza la donna e il concepito La scelta dell'Aifa pone più di qualche dubbio

Sembra che l’Agenzia Italiana del Farmaco e altri enti nazionali di consulenza sanitaria abbiano imboccato decisamente una visione soggettivo-autonomistica della salute, che giustifica un rapporto con il servizio sanitario di tipo consumistico-contrattualista, in cui l’offerta si adegua semplicemente alla domanda.

Anzi, come succede nel mercato, si favoriscono le condizioni perché una certa domanda si formi e si rafforzi, facendola sembrare l’espressione di una aumentata libertà.

Così è stato per le nuove linee guida nazionali sull’aborto chimico, emanate intorno a Ferragosto, che prevedono la somministrazione della RU486 anche nei consultori e senza il ricovero in ospedale.

È più semplice, veloce e indolore?

Non banalizza ulteriormente la vita del concepito e non espone le donne, oltre agli effetti fisici collaterali, a una solitudine che accentua il personale trauma psicologico?

Più di recente l’AIFA ha stabilito che non è più necessaria la prescrizione medica per dispensare anche alle minorenni «EllaOne», cioè il farmaco utilizzato come contraccezione d’emergenza entro 5 giorni da un rapporto sessuale avuto senza protezioni. «Norlevo» è invece il contraccettivo denominato «pillola del giorno dopo».

Anche in questi casi non possiamo tralasciare di considerare in primo luogo il rispetto dovuto al concepito.

Infatti il principio attivo di queste pillole può avere un’azione anticoncezionale, bloccando l’ovulazione nel caso in cui essa non sia ancora avvenuta, oppure può avere un’azione abortiva, impedendo l’annidamento dell’embrione (si parla perciò di «intercezione» o «contragestazione»), se ovulazione e concepimento sono già avvenuti, senza che questo possa essere verificato.

Se è vero che il numero di aborti negli ultimi anni è andato diminuendo ciò deve vedersi anche in rapporto all’aumentato ricorso a questi farmaci.

Secondo il direttore generale dell’AIFA si tratterebbe di «uno strumento etico in quanto consente di evitare i momenti critici che di solito sono a carico solo delle ragazze». L’espressione «momenti critici», nel suo significato etimologico, indica la necessità del discernimento, la valutazione ponderata dei valori in gioco e delle scelte da farsi. Ebbene anziché sostenere le ragazze in questo delicato compito, le si lascia sole!

È forse questo che si intende fare: evitare che in quei frangenti possano confrontarsi opportunamente con i propri genitori o con un medico di fiducia. L’unico adulto che interviene in questi momenti critici sarebbe il farmacista, tenuto a consegnare insieme al farmaco un foglio informativo che, tra l’altro, mette in guardia dal suo uso frequente, dato che può avere i suoi problematici effetti collaterali: irregolarità mestruali, perdite ematiche, dolori addominali, mal di testa, astenia.

Come con la RU486 si tende a banalizzare comportamenti importanti per la propria salute psicofisica, a chiudere le persone, anche le più giovani e fragili, nella propria solitudine, mentre si trovano di fronte a scelte delicate, a escludere sempre più i genitori dal loro compito educativo e in particolare nel campo sessuale e affettivo.

Si tende a rinunciare o, peggio, si vuole escludere una vera azione educativa che, oltre a insegnare la fisiologia sessuale – anche questo a volte fatto in modo approssimativo – e le varie tecniche contraccettive, contribuisca a rafforzare il senso della propria dignità anche nella dimensione corporea, a suscitare il rispetto e la responsabilità nei confronti della propria e altrui sessualità, a formare la capacità di relazioni affettive vere, profonde e durature, a far apprezzare il dono della vita e della procreazione.

Stefano Mele – Docente Bioetica – Facoltà Teologica della Sardegna

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