Nel corso dell’udienza ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, lo scorso 26 gennaio, Il Santo Padre Francesco ha dedicato un significativo passaggio al tema del fine-vita: «ll processo di secolarizzazione – ha affermato il Pontefice – assolutizzando i concetti di autodeterminazione e di autonomia, ha comportato in molti Paesi una crescita della richiesta di eutanasia come affermazione ideologica della volontà di potenza dell’uomo sulla vita. Ciò ha portato anche a considerare la volontaria interruzione dell’esistenza umana come una scelta di “civiltà”. È chiaro che laddove la vita vale non per la sua dignità, ma per la sua efficienza e per la sua produttività, tutto ciò diventa possibile. In questo scenario occorre ribadire che la vita umana, dal concepimento fino alla sua fine naturale, possiede una dignità che la rende intangibile».
Il netto pronunciamento del Papa, che riafferma quanto già più volte espresso dai predecessori, in particolare da San Giovanni Paolo II nell’enciclica «Evangelium vitae», proietta una luce chiarificatrice anche sul recente passaggio parlamentare vissuto poco prima dall’Italia con l’introduzione della legge 22 dicembre 2017 n. 219, che ha dettato norme sul consenso informato nel rapporto tra medico e paziente e sulle disposizioni anticipate di trattamento. La «qualità» della vita, infatti, contrapposta alla sua «sacralità» (o dignità, secondo le parole di Francesco) costituisce spesso la porta d’ingresso per giustificare pratiche eutanasiche o di suicidio assistito, che si vorrebbero addirittura esigibili in termini pretensivi da parte del medico, senza concedere nemmeno il diritto all’obiezione di coscienza.
La nuova legge italiana risente forse di questa impostazione?
Secondo alcuni commentatori no: il testo, infatti, non sarebbe altro che una traduzione legislativa dell’articolo 32 della Costituzione o del codice di deontologia medica e si dovrebbe semplicemente vigilare con attenzione perché nella concreta applicazione giurisprudenziale non vengano perseguite, in contrasto con l’intento del legislatore, pratiche che violino il supremo rispetto che si deve alla dignità della persona, soprattutto se malata. Per altri osservatori, invece, la legge si caratterizzerebbe per un’oggettiva, anche se inespressa, impronta eutanasica, là dove consente al rappresentante del minore o dell’incapace di rifiutare trattamenti sanitari, non esclusi la nutrizione e l’idratazione artificiali, anche al di fuori dei casi di accanimento terapeutico.
Si riscontra altresì una certa ambiguità nelle previsioni della legge, per esempio dove contemporaneamente obbliga il medico da un lato a rispettare la volontà del paziente magari espressa molti anni prima e dall’altro a intervenire, ad esempio in situazioni di emergenza o di semplice inattualità delle disposizioni anticipate, esponendo così i sanitari a responsabilità sia che intervengano sia che si astengano. Il convegno organizzato dai giuristi cattolici per il 25 maggio intende contribuire a chiarire le idee su questi delicati argomenti, tentando di delineare un orizzonte nel quale, per citare ancore il Pontefice, il dolore, la sofferenza, il senso della vita e della morte possano essere affrontati «con uno sguardo pieno di speranza che consenta all’uomo di vivere bene e conservare una prospettiva fiduciosa davanti al suo futuro».
Luigi Murtas – Segretario Unione Giuristi Cattolici – Cagliari
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