Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani II Domenica di Pasqua (Anno C)

Dal Vangelo secondo Giovanni

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

(Gv 20, 19-31)

Da questo numero sarà Fabrizio Demelas, docente di Sacra Scrittura all’Istituto di Scienze Religiose, a commentare il Vangelo.

Il grazie a Matteo Vinti per il servizio reso nelle ultime settimane.

Commento a cura di Fabrizio Demelas

È arrivata la sera del «primo giorno della settimana», quello che diventerà il «giorno del Signore».

I discepoli sono in un luogo chiuso, forse quello della cena.

Hanno paura dei Giudei: se prima della risurrezione era sufficiente negare la propria adesione a Gesù, come aveva fatto Pietro, ora questo potrebbe non bastare più per cavarsela, perché poteva essere molto pericoloso dire che era risorto.

Ma ecco che accade qualcosa, forse di atteso: nel nuovo «giorno del Signore», arriva Gesù, nonostante le porte chiuse.

E l’evangelista precisa: «stette in mezzo», prese quello che era il suo posto di sempre, il posto del Maestro.

La situazione si è complicata: tutti i presenti sono ora chiamati a confrontarsi con la realtà della risurrezione.

Ma Gesù pensa subito a dare il tono giusto al momento: saluta con l’augurio di «Pace a voi!» e conferma la sua identità mostrando le ferite più marcate inferte dai suoi aguzzini.

La sua presenza dà al saluto di pace un valore particolare: è la pace che aveva promesso prima di morire e che ora suona come un giudizio definitivo, sulla sua stessa vicenda e sulla vita di coloro che crederanno.

Infine, Gesù invia i suoi in missione per il mondo e dona loro lo Spirito Santo, già promesso.

Con lo Spirito, affida ai suoi una novità: perdonare i peccati, per essere, così, braccia operative dello Spirito stesso tra gli uomini.

Ma c’è qualcosa che complica la scena: Tommaso, «uno dei Dodici», non era presente e, quando torna, non crede.

Crederà, ma alle sue condizioni, cioè vedendo (già allora, la fede rischiava di essere solo in ciò che si vede!) e toccando con mano.

Ma ancora una volta ci pensa Gesù. Accade «otto giorni dopo», cioè il successivo «giorno del Signore».

Si ripete la scena, uguale, anche nella pace. Gesù sa già tutto, come se avesse sentito Tommaso, e lo invita a fare il gesto che aveva preteso di compiere come condizione per credere: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani».

Lo sollecita, così, a diventare credente senza condizioni. Soluzione: Tommaso non muove un dito! Anzi, come se fosse stato colto e perdonato dallo Spirito donato da Gesù una settimana prima, viene fuori con una affermazione sconvolgente, che è il più diretto e alto riconoscimento che Gesù ottiene in tutto il vangelo: «Mio Signore e mio Dio!».

La situazione finale è in bocca a Gesù e suona come un messaggio rivolto a tutti i futuri credenti: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». La fede, questo dono capace di toccare i cuori e le menti e di rendere efficace la Parola di Dio nelle persone, arriva così come dono reale e presente dopo che Gesù lascia la compagnia.

A quella fede pensa l’evangelista, che conclude precisando che Gesù «fece molti altri segni», oltre a quelli scritti.

Ma quelli scritti sono stati scelti con un duplice preciso scopo. Il primo: suscitare l’adesione di fede a Gesù, «il Cristo», il Messia atteso, e «il Figlio di Dio», rivelatore di Dio come Padre.

Il secondo scopo: avere «la vita nel suo nome», che significa vivere un autentico rapporto con il Padre, una relazione di “conoscenza” di Dio nel senso più intimo e profondo.

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