Non metterai alla prova il Signore Dio tuo I Domenica del Tempo di Quaresima (Anno C)

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo.

Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame.

Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».

Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».

Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».

Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

(Lc Lc 4,1-13)

Da questo numero Matteo Vinti, docente della Facoltà teologica, riprende il servizio di commento al Vangelo. Il grazie a don Carlo Rotondo per il servizio reso nelle ultime settimane.

Commento a cura di Matteo Vinti

Ricominciano le domeniche quaresimali e le tentazioni di Gesù. Un Gesù, quello raccontato da Luca, che avevamo lasciato preadolescente, una volta ascoltati e interrogati i maestri del Tempio, mentre «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52), e riapparso, dopo la parentesi della predicazione di Giovanni Battista, nel rapido accenno al suo battesimo, dove viene riconosciuto «Figlio» dal Padre, e alla sua genealogia che proprio a Dio rimonta.

Ecco: secondo me il racconto lucano delle tentazioni rappresenta per l’evangelista il tentativo di spiegare alla sua comunità e ai suoi uditori come Gesù è cresciuto in quel ventennio, passato sotto silenzio tra l’infanzia e la maturità, quale autocoscienza di sé Gesù aveva fermentato nel suo cuore negli »anni nascosti».

Incontriamo anzitutto un Gesù «pieno di Spirito Santo» e «guidato dallo Spirito» – una «presenza fissa» del terzo Vangelo – e un Gesù che deve fare i conti, nel deserto, con l’altra «presenza», la misteriosa presenza del male, del diavolo. Da una parte l’amore stesso di Dio, lo Spirito di unità; dall’altra il «divisore» per eccellenza, perché diá-bolos significa appunto, in greco, «colui che divide». Le tentazioni rappresentano quindi la lotta tra colui che unisce e colui che separa.

Proviamo a immaginarci Gesù in quei vent’anni; un Gesù che avrà osservato, con lo sguardo attento e intelligente che lo caratterizzava, i travagli e le fatiche dei fratelli uomini, i loro sforzi e i fallimenti. Li avrà visti da vicino affannarsi, nell’umiltà del lavoro quotidiano, per conquistare un tozzo di pane per sé e i propri cari, e tacitare, per un po’, il morso della fame; avrà osservato forse un po’ più a distanza alcuni che ambivano alla carriera e al potere, alla gloria e agli onori; e avrà pure per un po’ ammirato, forse con crescente apprensione, i «religiosi» del suo popolo, che in nome dell’Alleanza, della Legge, del Tempio, confidavano con eccessiva sicumera e malcelato orgoglio nel soccorso automatico, «magico», del Dio d’Israele.

Sono, appunto, le tre «tentazioni», e nel silenzio di quel deserto Gesù vi medita e se le trova davanti. Tentazioni, cioè «prove», «sfide»: le sfide che Gesù vede affrontare quotidianamente da ogni uomo e che lui stesso è chiamato ad affrontare. E sono le prove che, alla fine, dividono: dividono l’uomo dalla sua umanità, dal rapporto con gli altri, dal rapporto con Dio.

Gesù ha, alla fin fine, un’unica parola per rispondere a queste prove: Dio, il rapporto, l’unità con Lui. Non farti dominare dall’affanno per la sopravvivenza, dall’ansia del lavoro e del salario: non è importante solo il pane per la vita, è il rapporto con Dio ciò che davvero fa vivere; non adorare il potere, la carriera, la gloria: il centro del tuo cuore sia solo quella relazione vitale con Dio; e non presumere che Lui stia sempre lì, al tuo servizio, gonfiandoti di orgoglio e di pretesa autonomia: perché la certezza di questo rapporto sta nell’umiltà e nell’ascolto della sua volontà, non della tua.

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