Non posso fare delle mie cose quello che voglio? XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.

Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.

Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

(Mt 20, 1-16)

Commento a cura di Enrico Murgia

La parabola donata e proposta in questa domenica del Tempo ordinario, vogliamo inquadrarla dentro il grande tema della libertà di Dio, già affrontato nella prima lettura odierna che è sempre bene intrecciare e collegare al Vangelo.

Non possiamo infatti dimenticare il cammino percorso; quanto letto, proclamato, ascoltato e meditato nel capitolo 18 di Matteo le ultime domeniche. Di fatto emerge uno stile di vita, un modo antico e sempre nuovo di seguire Cristo. È il discorso ecclesiale che mette in luce il volto di una Chiesa che fatica a rispondere a quel modello che ci pone innanzi un Dio la cui prima legge è che l’uomo viva.

Anche questa parabola presenta un problema, riferendosi probabilmente a una situazione difficile in cui si trovava la comunità di Matteo: due gruppi cristiani si contendevano il primato della chiamata e il privilegio di essere primi rispetto agli altri.

Ora, gli operai della parabola, ingaggiati all’ultima ora per lavorare anch’essi nella vigna del signore, richiamano quelle categorie di persone composte da pubblicani, peccatori pubblici, prostitute etc, entrate anch’esse nella Chiesa di Cristo ma non bene accette al gruppo dei pii. Secondo il metro della giustizia umana, le rimostranze che i primi operai rivolgono al padrone sembrano ineccepibili: «Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo!».

In effetti non è secondo logica né secondo giustizia pagare gli ultimi come i primi. Ma lo shock e la provocazione della parabola consistono proprio nel capovolgere il criterio della logica retributiva, del «do ut des».

La meritocrazia non appartiene al linguaggio dell’amore, ma solo a quello del salario.

Dovremmo imparare a rivedere i parametri della nostra giustizia. Chiederci se per come ragiona il nostro cuore, la meritocrazia appartenga appunto, al linguaggio dell’amore. Il mio cuore è calcolatore?

E allora la prima lettura ci viene incontro: «le mie vie non sono le vostre, i miei pensieri non sono i vostri pensieri».

Chi ha fede, sa che Dio è «oltre» ciò che si sa e si dice di Lui. Dio è nella storia: in questa mia, tua, quella di ciascuno, con i suoi cammini luminosi ma non sempre lineari, con inizi sempre nuovi, con le sue ricadute e i suoi peccati.

Quel «cercate il Signore» che viene sempre dalla prima lettura, è l’impegno a convincerci con il Vangelo proposto, che di fronte a Lui che ha scelto tutti per pura gratuità non ci sono grandi e piccoli, primi e ultimi, meritevoli e indegni.

Che ognuno possa accorgersi di Dio, della sua chiamata a lasciarsi scegliere, riconoscendo che tutto, veramente tutto è suo dono e sua grazia.

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