Piccoli centri e aree interne in attesa di risposte concrete

Riflessioni a margine del convegno organizzato dalla parrocchia di Seuni

Piccoli centri e aree interne in attesa di risposte concrete.

Siamo sempre meno, gli stranieri non scelgono più la Sardegna come luogo per migrare e diminuiscono anche gli occupati.

Sono alcuni dei dati sulla nostra Isola che emergono dall’ultimo aggiornamento del Censimento Istat sui numeri del 2021 comparati con quelli del 2020.

La fotografia scattata è decisamente impietosa ed emerge il ritratto di una regione in agonia demografica e che fatica ad invertire la rotta. 

Le conseguenze di questa situazione si riverberano soprattutto nei piccoli centri.

Di questo si è parlato sabato scorso durante un convegno a Seuni, che ha visto riuniti amministratori locali, docenti e sacerdoti, con l’Arcivescovo che ha tenuto la relazione principale.

Da tempo i temi delle aree interne e dello spopolamento sono all’attenzione  della Chiesa italiana, tanto che lo scorso luglio una trentina di vescovi si è riunita a Benevento, mettendo in luce la necessità di un piano strategico. 

«Non c’è futuro – aveva detto il cardinale Zuppi – senza un vero piano che metta le aree urbane insieme a quelle interne. Questo serve indubbiamente per le aree interne, ma ne va anche della qualità della vita delle aree urbane».

È proprio qui sta il problema: una crasi che di fatto ha generato una distanza siderale tra zone interne e quelle urbane, una dicotomia che provoca problemi ad entrambe.

Da ciò le necessità che si arrestino i fenomeni migratori interni alle regioni, come la Sardegna, con la fuga dai piccoli centri verso la costa o le città, e conseguente depauperamento del tessuto sociale nei paesi e fenomeni di disagio generati nei grandi centri.

Questa nuova realtà interroga la Chiesa che è in Italia.

In particolare in molti centri delle aree interne nei quali non vi è più la presenza fisica di un presbitero: sempre più spesso un sacerdote è parroco o amministratore di diverse comunità. 

Anzi, in molti casi, alla Chiesa viene chiesta una presenza come ultimo baluardo per esprimere dignità e senso della comunità civile, dopo la chiusura di servizi essenziali quali caserme, studi medici, banche e uffici postali.

Per i Vescovi dunque è necessaria una rivisitazione del servizio di presidenza del sacerdote, con la possibilità di immaginare nuove ministerialità laicali. 

Per fare ciò occorre uno sganciamento totale dal servizio del prete dalla dimensione amministrativa ed economica.

Il Concordato sancisce la legale rappresentanza e traduce su un piano giuridico un principio teologico: il prete esiste per garantire che nessuna dimensione, neppure quella amministrativa ed economica, venga esercitata con finalità diverse da quelle della Chiesa, che si mantiene fedele alla testimonianza apostolica.

C’è un secondo aspetto che i Vescovi mettono poi in evidenza ed è quello del ministero del diacono, che potrebbe avere la responsabilità, sotto la sorveglianza e la presidenza del parroco, nella gestione amministrativa ed economica di una comunità fatta di piccole parrocchie.

In fondo la prospettiva dei Vescovi è quella offerta dalla istituzionalizzazione di nuove ministerialità laicali: «Si può pensare – ha dichiarato monsignor Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa – al ministero dell’accolitato, in particolare, quello della cura e della vicinanza a tutte le persone anziane e malate; al ministero del responsabile e coordinatore della catechesi, con persone che si prendono in carico la responsabilità di gestire la catechesi».

Roberto Comparetti

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