Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: Sì, signore. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?».
Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Commento a cura di Enrico Murgia
La domanda è incalzante e decisiva. Chi è il vero credente? Colui che dice ma non fa, oppure colui che – pur non dichiarando la propria fede – fa la volontà del Padre?
Non è facile cogliere il nucleo fondamentale del Vangelo e della Parola donata e affidata a noi questa domenica.
All’uomo distratto e incapace di afferrare l’appello di Dio che coinvolge la sua esistenza, questa Parola ricorda la serietà del momento e dell’ora, quindi il bisogno e l’urgenza della conversione.
Il problema riguarda la conversione che pubblicani e prostitute hanno attuato nella loro vita, e che invece i pii, intesi come coloro che si pensano e credono giusti, hanno invece costantemente rifiutato.
È questo un Vangelo per tutti noi che conserviamo l’intima presunzione, spesso segreta, nascosta, eppure così determinante sulle nostre scelte.
Tuttavia, bisogna fare attenzione a non svilire il messaggio con semplificazioni troppo rapide. Matteo non condanna l’ortodossia, ma la frattura che si crea spesso e volentieri tra ortodossia e orto prassi.
Rimane sostanziale e abissale la differenza che esiste tra i credenti e i credenti credibili.
L’unità tra confessione di fede e prassi è uno dei punti forti di questo Vangelo.
Rimando solo per un attimo a Mt 7,21-23, dove i credenti fanno sfoggio delle loro opere prodigiose, dei carismi più ambiti all’interno della comunità e la risposta suona e risuona sferzante: «Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!».
Sì, perché ciò che definisce un discepolo di Cristo è la conversione alla volontà del Padre.
In questa luce, i pubblicani e le prostitute diventano un modello per quelli che dicono e non fanno, perché hanno avuto la forza di ricredersi, mentre i cosiddetti ortodossi (ligi al dovere) – che professano la loro fede soltanto a parole – non hanno mai il coraggio di mettere in discussione se stessi e le proprie certezze.
Invece è proprio questo il monito severo di Gesù, da prendere sul serio, se si vuole evitare che sia ancora attuale la vecchia preoccupazione di Bernanos: «Dio non sceglie gli stessi uomini per custodire e compiere la sua parola».
Per Gesù l’ammissione del peccato (quella che tanto ci riempie di paura e di vergogna, che ad un giusto sembrerebbe una condanna senza appello e che non può confessare neanche a se stesso) è l’inizio della gioia, del rinnovamento, di un amore ritrovato, di un cuore che rinasce.
Per Gesù il problema non è sbagliare, ma amare; infatti non si diventa perfetti da soli senza affidarsi a Dio.
Per questo, il credente è innanzitutto colui che cerca l’amore di Dio e lo sperimenta nella certezza che senza rivendicazioni, tutti siamo utili e nessuno indispensabile.
Per questo, anche nel servizio che mai si deve identificare con il ruolo, ritengo valga la pena pregare e concludere insieme con le parole della Santa Madre Teresa di Calcutta testimone credibile di fede operosa nella carità: «Signore Gesù, che hai creato con amore, sei nato con amore, hai operato con amore, sei stato onorato con amore, hai sofferto con amore, sei morto con amore, sei risorto con amore, io ti ringrazio per il tuo amore per me e per il resto del mondo e ogni giorno ti chiedo: insegna anche a me ad amare».
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