Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante.
Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
( Lc 9,28b-36)
Commento a cura di Matteo Vinti
Tutti, o quasi, abbiamo studiato a scuola Giacomo Leopardi; e, di Leopardi, tutti o quasi abbiamo letto il «Canto notturno di un pastore errante dell’Asia».
Nella seconda strofa, il pastore leopardiano traccia uno sconfortante ritratto della vita umana: «Vecchierel bianco, infermo, / Mezzo vestito e scalzo, / Con gravissimo fascio in su le spalle, / Per montagna e per valle, / Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, / Al vento, alla tempesta, e quando avvampa / L’ora, e quando poi gela, / Corre via, corre, anela, / Varca torrenti e stagni, / Cade, risorge, e più e più s’affretta, / Senza posa o ristoro, / Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva / Colà dove la via / E dove il tanto affaticar fu volto: / Abisso orrido, immenso, / Ov’ei precipitando, il tutto obblia». Ecco l’uomo: un essere perennemente indaffarato, perennamente affaticato e sofferente, che cerca di realizzare, di raggiungere la meta della propria esistenza, la felicità; e proprio quando giunge alla fine di questo terrificante esodo, scopre che lo attende la morte, il nulla, l’«Abisso orrido, immenso, / Ov’ei precipitando, il tutto obblia».
Pensateci bene: tutto l’impegno che mettiamo nel fare le cose, o l’alzarsi al mattino per affrontare la monotonia quotidiana, o la fatica dello studio e del lavoro, la pazienza e la gioia delle relazioni affettive che ci costituiscono, che senso avrebbero, se la vita fosse destinata alla morte e al nulla?
Che senso avrebbe la vita stessa, se ci attendesse solo la passione, la morte, la sepoltura? È la meta della strada, infatti, che dà significato al cammino stesso.
È proprio per questo che la liturgia della Chiesa fa proclamare il brano della trasfigurazione di Gesù nella seconda domenica di quaresima. La trasfigurazione rappresenta infatti una caparra della resurrezione.
Per questo, nei quaranta giorni di esodo che precedono l’ingresso di noi fedeli nella visione del Risorto, abbiamo bisogno – per camminare più spediti, per non farci scoraggiare dalle difficoltà – di questo spoiler: Gesù nella gloria prima dell’evento della resurrezione.
Non è la croce la meta della vita: è la gioia senza fine della resurrezione, dove tutto quello che abbiamo amato e sofferto, per cui abbiamo dato tempo e soldi e sudore, non va perduto, ma è a sua volta trasfigurato nella sua pienezza.
Rispetto al Vangelo di Marco, Luca sottolinea una cosa: Gesù sale sul monte «a pregare», ed è «mentre pregava» che l’anticipo di resurrezione avviene.
Appaiono Mosè ed Elìa, le figure per eccellenza dell’alleanza di Dio con Israele, già «nella gloria», e conversano con lui «del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme». La gloria e l’esodo: l’esperienza dell’anticipata resurrezione e quella della croce sono fronte a fronte.
Facendo memoria dell’opera che Dio ha già compiuto nella storia di Israele, Gesù mette a tema le sue crisi, il suo dramma, l’angoscia della sua croce.
E ne trae motivi di speranza e di rinnovato vigore. Pietro e gli altri invece sono nel sonno, nella distrazione; per loro quella preghiera è anch’essa tentazione di ritiro dal mondo.
Non così per Gesù: la preghiera è invece la memoria del destino di gloria che ci attende, la fonte della speranza che consente di affrontare con più certezza e coraggio l’esodo della vita.
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