Lo scorso 7 marzo scorrendo le notizie di agenzia non si poteva fare a meno di notare una particolarità: su una sessantina di “lanci”, il termine tecnico che indica le notizie disponibili, almeno una decina era dedicata al tema delle dipendenze.
Dalla baby gang di spacciatori della zona del nuorese, che riceveva le prenotazioni delle dosi attraverso chat su cellulare, agli undici adolescenti dell’oristanese in ospedale per coma etilico, alla scoperta dell’ennesima piantagione di droga nelle zone interne, fino alla nonnina che deteneva in casa un chilo di cocaina.
Una sfilza di aggiornamenti che metteva in luce il triste fenomeno della dipendenza da sostanze alcoliche o da stupefacenti.
Quanto registrato nella giornata del 7 marzo scorso è solo la punta di un iceberg di un fenomeno che psicologi e medici continuano a segnalare come allarmante.
Si tratta di una realtà, quella delle dipendenze, che, tra l’altro, ha dei costi sociali stratosferici.
Il sistema di repressione, messo in atto da forze dell’ordine, sotto la guida della magistratura, cerca di fare il possibile ma non basta.
Da un lato il nuovo dispositivo di legge che il Viminale si appresta a far approvare, con un inasprimento delle pene anche per i consumatori, dall’altro, secondo Riccardo De Facci, presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza «le proposte non ci aiutano a risolvere alcun problema. Ci confrontiamo ogni giorno – osserva – con situazioni come quella del parco di Rogoredo a Milano, con le inquietudini e le domande delle famiglie, con le circa 60 nuove sostanze psicoattive scoperte ogni anno, e restiamo convinti del fatto che i giovani consumatori debbano incontrare un educatore piuttosto che essere rinchiusi in galera. Dobbiamo elaborare e presentare all’opinione pubblica, un nuovo approccio alla questione droghe, basato su prevenzione, cura, accoglienza».
Ciò non significa che l’azione di contrasto all’uso degli stupefacenti non debba essere perseguita: va affiancata all’azione di prevenzione, come ricorda anche padre Salvatore Morittu, francescano, che da 4o anni è in prima linea nell’azione di recupero delle persone vittime delle dipendenze, anche di quelle non strettamente legate a sostanze psicotrope. Parliamo di disagio mentale, dipendenza patologica da gioco d’azzardo e da malattie come l’Hiv.
L’enorme lavoro portato avanti dalle forze dell’ordine evidenzia solo una parte del mercato degli stupefacenti.
La Sardegna, per la sua posizione geografica, è zona di intensi traffici e i sequestri che si sono susseguiti negli ultimi tempi, così come gli interventi in alcune zone dei grandi centri, sono il segno di una presenza costante e importante dello Stato, ma non basta.
Accanto a questo prezioso lavoro occorre affiancare l’azione di prevenzione che parta dalla scuola e dalla famiglia. Proprio quest’ultima spesso rappresenta il luogo nel quale prendono forma le dipendenze. «Un giovane che non riesce a diventare adulto – ha ricordato padre Salvatore Morittu – e che non sa convivere con le frustrazioni e gli impegni della maturità, ricerca nella cocaina, nell’alcool, nei giochi d’azzardo e in altre sostanze eccitanti la possibilità di strappare alla vita brandelli di piacere». Ecco allora il ruolo centrale della famiglia, anche se spesso gli adulti rischiano di essere sempre meno credibili, perché incapaci di mostrare una maturità che, forse, hanno smarrito.
Roberto Comparetti
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