XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?».
Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?».
Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso».
Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?».
Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.
Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre.
Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione.
Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui.
Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”.
Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?».
Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
Commento a cura di Rita Lai
Citare o parlare della parabola del Buon Samaritano è come ritrovarsi con un vecchio amico, tanto è conosciuta, commentata e amata questa pericope lucana.
Eppure, come e forse in maniera più plastica di tante parabole evangeliche, essa si presenta sempre particolarmente attuale.
Ci chiediamo: perché?
Cosa ha di eterno la vicenda dell’uomo assalito dai briganti e abbandonato da tutti, tranne da colui che naturalmente avrebbe potuto farlo, ossia il Samaritano?
Il Samaritano era per l’ebreo l’eretico, il fratello che si era allontanato dalla ortodossia, quindi peggio di un nemico.
La domanda da cui si parte è: chi è il mio prossimo?
Non siamo in grado di riconoscere il prossimo, ossia chi è vicino a noi?
In realtà, tutto l’equilibrio della parabola si gioca su questa antinomia vicino/lontano.
Chi è vicino, chi è lontano; o meglio, chi crediamo vicino o lontano.
Sembra non si possa sfuggire a questa logica stringente ed è quello che fanno il sacerdote e il levita, i quali neppure si pongono il problema. Passano oltre, semplicemente.
Il Samaritano si pone fuori da tale logica, non si lascia condizionare da nulla.
Né dai preconcetti, che sembra non avere, né da ragioni di opportunismo, né tantomeno da criteri stile: è uno di noi? /non è uno di Noi.
Vede il bisogno, si avvicina e per prima cosa «ne ha compassione», col famoso verbo che chiama in causa le viscere di misericordia (splanchnízesthai).
Si prende cura di lui: il suo è vivere il «farsi prossimo» nel senso vero in cui la parabola lo propone, farmi io prossimo dell’altro, di qualunque altro, soprattutto se nel bisogno.
Il Samaritano non introduce la logica esclusiva del dividere i fratelli in categorie.
E non cadiamo nel fare una facile applicazione con le scene di barboni o poveri che continuamente sono sotto i nostri occhi.
La parabola non ci vuole dire questo, ma introdurre una nuova categoria: la solidarietà, che permette di non escludere nessuno e di prendersi cura di chi ha bisogno, non dietro l’input dell’urgenza, ma come tenore di vita.
La parabola ci dice che chi si fa prossimo, si prende cura del fratello, chiunque egli sia.
E lo fa nel tempo, vigilando su di lui, agendo concretamente in presenza, ma anche in assenza perché nulla sia lasciato al caso.
Chi si fa prossimo vede il presente, il bisogno concreto, ma vede anche lontano e sa cogliere il momento che Dio gli presenta.
Cogliamo un metodo sicuro e serio di vivere la vita fraterna.
Un metodo che va oltre i tempi e le stagioni e che fa di questo racconto di Gesù il capolavoro intramontabile che è: in ciascuno di noi c’è tale bisogno di vivere la fraternità non come il sacerdote e il levita, nell’indifferenza e nello scrollare delle spalle, ma nella attenzione all’altro, amato e curato solo perché fratello, senza neppure sapere chi sia.
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