Siederà sul suo trono e separerà gli uni dagli altri

Solennità di Cristo re dell’Universo

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.

Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.

Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.

Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna». 

(Mt 25,31-46)

Commento a cura di Carlo Rotondo

Ultima domenica dell’Anno liturgico, Solennità di Cristo Re.

L’evangelista Matteo ci presenta la scena finale del grande film della vita. Ci sono tutti: Dio, gli angeli e tutti i popoli.

Allora Dio dirà: parla per primo Dio. Lui è l’alfa e l’omega, il principio e la fine. Dio disse e tutto fu creato e, alla fine, Dio dirà…e tutto sarà giudicato. Il giudizio non è né un test, né un esame ma sarà la constatazione di cosa avrò fatto e cosa non avrò fatto. Anzi, più precisamente, sarà un dire il bene che avrò o non avrò fatto. Ed è chiarissimo il concetto che Gesù esprime ai suoi discepoli: sarete giudicati dalla relazione che avrete con gli altri. Il bene  è relazione.

Gesù l’aveva proclamato a chiare lettere: il comandamento nuovo dell’amore prevede che amare Dio e amare il prossimo sono le due facce della stessa medaglia.

Gesù così aveva insegnato qualcosa di incredibile per la fede di allora: amare Dio e gli altri è allo stesso livello, alla pari.

Scandaloso!

Cielo e terra sono sponde separate e non ci sono ponti. Non avevano fatto i conti con l’incarnazione di Dio che ha definitivamente costruito quel ponte.

Perciò Gesù può porre una domanda: come potete amare Dio che non vedete se non amate il vostro fratello che vedete?

Il Cristianesimo è la religione del paradosso di chi non si limita a credere solo in Dio ma accetta la sfida di credere anche nell’uomo.

Pazzesco!

Certo. Perché è più facile, molto più facile credere in Dio, che se ne sta in Cielo, piuttosto che credere in Francesco, che da 20 anni marcisce in galera (meritatamente), in Jashmin che passeggia mezzo nuda nel vicoletto in attesa di clienti, in Abdallah che, senza permesso di soggiorno, sta per rubare due mele al mercato,  in nonna Angelica di 92 anni che occupa un letto d’ospedale anziché starsene in casa a morire da sola, in Chicco che anche oggi si è procurato la sua dose… di felicità.

Molto, molto più facile credere in un Dio chiuso in chiesa, in moschea, in sinagoga o in un qualsiasi tempio che in un Dio racchiuso nel cuore di un uomo, tanto più se puzza di stalla.

Una sfida meravigliosa e incredibile che, oggi, ci propone Gesù. È il senso del Padre «nostro».

È la bellezza del «come in Cielo così in Terra».

La vera felicità, quella che vale una vita intera e oltre, non è essere felici, ma fare felici », perché è dando che si riceve, perdonando che si è perdonati ed amando che si è amati.

Il Paradiso, per me che credo, non è un premio che mi sono meritato comportandomi bene ma è risvegliarmi, dopo la morte, e ritrovare gli stessi volti, gentili e feriti, di tutti quelli a cui ho dato qualcosa di me durante la mia vita e, per l’eternità, sorridere insieme.

Trovo profeticamente provocanti le parole che ebbe a dire il vescovo brasiliano di Recife, Dom Helder Camara, in un’intervista negli anni ‘70: «Se non entra in Paradiso anche la mia gente, non ci voglio entrare neppure io».

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