Una società crudele e disumana

Editoriale

Ogni volta che si ha notizia di qualcuno che pone fine a una vita umana in questo modo si sente un groppo in gola. Eventi tristi, come la scelta messa in atto dal giovane dj Fabiano Antoniani, pongono tanti interrogativi alla nostra cosiddetta società civile. Vi è però una questione di fondo, ed è quella antropologica: quanto vale l’uomo e su che cosa si basa questo suo valore? La salute è certamente un valore importante, ma può determinare il valore della persona? Può davvero esistere un diritto a decidere quando e come porre fine alla propria vita? Benedetto XVI ha scritto che «una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la compassione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana» (Spe Salvi n. 38). Davvero era questa l’unica via da percorrere?

Quanto al rischio di una strumentalizzazione politica, penso sia sotto gli occhi di tutti la tempistica di esecuzione di questa tragica scelta, e della sua pubblicizzazione proprio in questi giorni. Non è certo un caso che la «compagnia» nelle ultime ore di vita di Fabio sia stata quella di un politico appartenente a un partito che da anni fa battaglia per pressare l’opinione pubblica sulla necessità della legalizzazione dell’eutanasia, oltre che per le altre ben note battaglie radicali. Si è trattato di un «suicidio assistito». Perciò la vicenda di Fabo, con i risvolti di impatto emotivo, non facilita certo un sereno dibattito parlamentare in Italia sul testamento biologico.

La morte di ogni persona che muore come dj Fabo è sempre una sconfitta, per tutti.

Il cardinal Martini, talvolta citato a sproposito in tema di fine vita, disse: «Mostruosa appare la figura di un amore che uccide, di una compassione che cancella colui del quale non vuole sopportare il dolore, di una filantropia che non sa se intenda liberare l’altro da una vita divenuta soltanto di peso oppure se stessa da una presenza divenuta soltanto di peso».

L’esperienza degli hospices, cliniche il cui obiettivo primario è l’umanizzazione dell’assistenza ai pazienti terminali attraverso le cosiddette cure palliative e la terapia del dolore, mette in discussione la correlazione troppo facilmente affermata tra sofferenza e desiderio di morire.

La sofferenza può dipendere oltre che dalla malattia, anche da una serie di altri fattori che possono aumentarla o diminuirla.

La legge n. 38 del 2010 in Italia è stata fatta per non lasciare soli i pazienti col loro dolore, fino alla fine.

Il testo di legge sul testamento biologico in discussione in Italia, se fosse approvato nella forma attuale, non prevede alcuna forma di eutanasia attiva, e non avrebbe comunque consentito a dj Fabo di sottoporsi al suicidio assistito. Tuttavia occorre anche dire che, oltre alla facoltà di interrompere trattamenti terapeutici, contempla anche la possibilità di interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiali. Ed è questo uno dei punti più controversi.

L’insegnamento della Chiesa in materia afferma che è lecito al paziente di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita. Ma per quanto riguarda la somministrazione di acqua e cibo, anche quando avvenisse per vie artificiali, questa rappresenta sempre un mezzo naturale di conservazione della vita, non un atto medico. Il suo uso pertanto sarà da considerarsi, in linea di principio moralmente obbligatorio, nella misura in cui e fino a quando esso dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che nella fattispecie consiste nel procurare nutrimento al paziente e lenimento delle sofferenze. Una loro indebita sospensione può avere il significato di vera e propria eutanasia.

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