Tendi la tua mano e mettila nel mio fianco

II Domenica di Pasqua (Anno C)

Dal Vangelo secondo Giovanni


La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!».

Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi».

Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.

Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!».

Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso.

Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!».

Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».


Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro.

Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

(Gv 20, 19-31 )

Commento a cura di Davide Piras

L’annuncio che Gesù è risorto, vivo, presente, e che Lui soffia lo Spirito santo sulla comunità dei credenti è fatto risuonare ininterrottamente per cinquanta giorni dalla nostra Liturgia, come se fossero un unico grande giorno.

Il Vangelo dell’ottava di Pasqua, detta in Albis o della Divina Misericordia, ci immette in quella stessa sera del primo giorno dopo il sabato, quello della risurrezione del Signore.

I discepoli ne hanno visto i segni, ma non hanno ancora incontrato il Signore vivo: impauriti, sprangano le porte del Cenacolo dove avevano fatto Pasqua e si rinchiudono per trascorrere la notte.

La paura li disgrega, li fa sentire tremendamente soli, trasformando quel Cenacolo di amore in un autentico sepolcro.

Ma proprio in questa precisa paura il Signore decide di entrare, di farsi vedere e toccare vivo, vincendo ogni spranga, così come ha vinto la pietra del sepolcro.

Lui raggiunge le chiusure della comunità dei suoi discepoli, giunge nel mezzo delle nostre resistenze e delle nostre morti, sta al centro e annuncia la sua Pace, la sua presenza, il Regno spalancato (cf Gv 20,19).

Mostra ai discepoli le sue ferite guarite, al punto che la loro paura di prima lascia finalmente il posto alla gioia, segno della loro risurrezione.

Da questa gioia, dall’amore del Risorto nasce la missione: Come il Padre ha mandato me, anch’io vi invio (v. 20).

Sulla croce, alcune ore prima, Gesù aveva già consegnato lo Spirito santo (cf Gv 19,30), ma non basta.

C’è bisogno che gli Apostoli se ne accorgano, lo accolgano, che il Risorto soffi su ciascuno di loro: Accogliete Spirito santo per il perdono dei peccati (vv. 21-23), perché ogni uomo vive di perdono da accogliere, testimoniare e offrire.

L’evangelista annota l’assenza di uno dei discepoli quella sera

È Tommaso, Tomà in aramaico, Didimo in greco.

Il suo nome significa «gemello», quello che ci rappresenta tutti.

Egli è talmente sicuro della morte di Gesù, la prende così sul serio, da non esser disposto ad accogliere la testimonianza degli altri discepoli, a meno che non gli venga data la possibilità di toccare con le sue mani le ferite della Passione (vv. 24-25).

È quanto gli accade otto giorni dopo: il Risorto rompe ogni barriera, ogni chiusura di cuore, e invita il nostro Gemello a compiere il gesto da lui preteso e a passare dalla non-fede alla fede in Lui (vv. 26-27).

La gioia di Tommaso esplode nella più bella confessione di sempre: Il mio Signore, il mio Dio! (v. 28).

Gesù conferma la fede di Tommaso e pronuncia per ciascuno di noi la vera beatitudine, la felicità più profonda: quella di credere in Lui risorto e vivo senza aver visto, fidandoci della testimonianza sua e dei suoi discepoli, che conduce alla pienezza della gioia

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