VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco?
Non cadranno tutt’e due in una buca?
Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo?
Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo?
Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni.
Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo.
L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore».
Commento a cura di Roberto Piredda
Le similitudini che compongono il discorso di Gesù ai discepoli sono legate dall’invito a seguire la sua via in modo autentico e fedele.
Gesù anzitutto mette in guardia dal farsi «maestri» dimenticando di essere prima di tutto e sempre dei «discepoli».
È «cieco» chi pensa di essere «più del maestro» (v. 40), cioè al di sopra di Cristo.
Egli solo è la guida vera e il maestro autorevole, chi intende aiutare i fratelli a percorrere la sua strada deve essergli fedele.
Sarebbe assurda la pretesa di poter guidare gli altri avendo perso di vista la verità e l’amore che provengono da Dio solo.
Il secondo passaggio del testo riguarda la misericordia e la correzione fraterna.
Il Signore va contro la mancanza di umiltà e l’ipocrisia, smascherando così l’assurdità e la ridicolaggine del comportamento di chi pretende di «togliere la pagliuzza» dall’occhio del fratello, lasciando intatta la «trave» (v. 42) che c’è nel proprio.
Chi opera in questo modo inganna anzitutto sé stesso, non considerando con attenzione la propria condizione di peccatore, sempre bisognoso di conversione.
Togli prima la trave dal tuo occhio, ipocrita!
Solamente a partire dalla verità su sé stessi, fondata sull’umiltà, è possibile andare incontro ai fratelli per aiutarli a ritrovare la strada del Vangelo.
A tale proposito è utile ricordare l’importanza della correzione fraterna, che è una pratica preziosa della carità cristiana.
Bisogna però stare attenti a ergersi a maestri improvvisati, un po’ come donna Prassede descritta dal Manzoni, che aveva poche idee e molte delle quali «storte» e non è che quelle «le fossero men care» («I Promessi sposi», cap. 25).
La correzione fraterna non prende le mosse dal giudizio o dalla recriminazione, ma dalla misericordia che nasce da una sollecitudine sincera e carica di amore per i fratelli.
Il terzo insegnamento di Gesù fa riferimento all’albero che «si riconosce dal suo frutto» (v. 44).
È possibile essere credibili come testimoni del Vangelo unicamente se esiste coerenza tra la fede professata e il proprio modo di pensare, parlare e agire.
Togli prima la trave dal tuo occhio, ipocrita!
Il discorso di Gesù va però ancora più in profondità, invitando a riflettere su «ciò che dal cuore sovrabbonda» (v. 45).
Per arrivare alla coerenza delle opere è necessario lavorare sul proprio «cuore».
La prima e ineludibile «riforma» è quella interiore.
La sequela di Cristo non parte dall’adesione ad un codice di norme esteriori, ma da un «cuore» integro e buono, cioè da una coscienza limpida e illuminata dalla grazia.
Si trova lì il «tesoro» (v. 45) dal quale poter trarre fuori il bene da realizzare nella propria esistenza.
Si ottiene un cuore purificato quando «tutta la nostra persona viene trasformata dalla grazia dello Spirito: anima, intelligenza, volontà, affetti. […] Riceviamo un nuovo modo di essere, la vita di Cristo diventa nostra: possiamo pensare come Lui, agire come Lui, vedere il mondo e le cose con gli occhi di Gesù» (papa Francesco, Regina Coeli, 3 maggio 2015).
In questo modo è possibile amare i fratelli, a partire da chi porta i pesi più grandi, con un «cuore» simile a quello di Cristo, diffondendo nei nostri ambienti la bellezza luminosa del suo Vangelo.
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