Dal Vangelo secondo Giovanni
(Gv 14, 23-29)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli : «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
Commento a cura di Michele Antonio Corona
Anche il vangelo di questa sesta domenica di Pasqua ci offre un brano dei discorsi di Gesù tratto dal vangelo di Giovanni. Ci interroga in modo diretto e provocatorio il binomio tra i due verbi «amare» e «osservare». Abbiamo legato l’amore al sentimentalismo, alla spontaneità, alla passione empatica fino al punto che nel mondo moderno questo aspetto è divenuto quasi ossessionante. Si ama solo quando si è trasportati dall’onda emotiva, quando ci si commuove o si piange, quando si commettono «pazzie positive».
Il vangelo invece unisce l’amore all’osservare, come garanzia di un amore che si fonda su qualcosa di radicato, di sostanziale, di importante, di duraturo. In italiano ci aiuta non poco ricordare la doppia accezione del verbo «osservare»: da una parte, guardare con particolare attenzione e non di sfuggita; in seconda battuta, seguire delle regole. Forse proprio questa ambivalenza ci fa intuire la profondità dell’amore che sgorga dall’osservare. Nel vangelo si precisa l’oggetto dell’osservare: la parola. Come si può guardare una parola? Ciò diventa ancor più strano se la si pensa pronunciata.
La parola menzionata dal vangelo è Gesù stesso, il quale parla ai suoi discepoli con la pregnanza di colui che fa seguire i fatti alle parole, che parla di amore ed ama, che chiede di osservare la sua parola, poiché egli stesso ascolta e mette in pratica la parola del Padre che lo ha mandato. L’unione tra Padre e Figlio e il desiderio di unire i discepoli in questa comunione è sottolineato dalla bellissima espressione del «dimorare presso».
Non si tratta di una sosta fugace, di un momento di passaggio cordiale, ma di un risiedere abitualmente. Ci ricorda il brano di Apocalisse 3: «Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me».
L’intimità (non l’intimismo!) prospettato da Gesù è il segno autentico dell’amore profondo. In questo alveo si situa l’ulteriore dono della «pace». Essa, seppur auspicabile, non è solo l’assenza di guerra, né la mancanza di tribolazioni e sofferenze, bensì è la scoperta di essere stati pacificati. Sappiamo dall’esperienza personale e comune di quale sia la nostra brama di pace interiore, di serenità anche nelle asperità, di letizia nelle prove.
Il passaggio di Giacomo, ripreso poi da Francesco d’Assisi, nel famoso racconto della «perfetta letizia», evidenzia in modo chiaro la sede della pace: il cuore. Se essa è costruita nel cuore dell’uomo, chi potrà rubarla? Paolo scrive: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione? La spada? Il dolore?… in tutto ciò noi siamo più che vincitori». La sottolineatura di Gesù riguardo alla differenza tra la sua pace e quella del mondo appare come elemento discriminante per evitare una pace di assenza e non di pienezza. Lo «Shalom» ha un senso di larghezza, di abbondanza, di apertura. Il compito di insegnare e spiegare la portata dell’annuncio evangelico sarà affidato allo Spirito, il quale come paziente maestro aiuterà i discepoli a vivere nell’amore.
Nella prossima domenica potremo contemplare il mistero dell’ascensione, quale momento di ulteriore prossimità tra Gesù, il Padre, lo Spirito e i discepoli. Il richiamo a «osservare la parola» diviene dunque il motore principale per far scaturire l’amore.
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