Un pomeriggio di testimonianze e musica nel carcere di Uta, grazie al gruppo sinodale
Camminare insieme «oltre le sbarre».
Alla fine la gioia e gli applausi hanno preso il sopravvento su emozione e timori.
Dopo le due ore di musica, testimonianze e riflessioni, nella cappella della casa circondariale di Uta l’aria è decisamente differente rispetto all’inizio.
Un pomeriggio nel quale ospiti della struttura penitenziaria, agenti di polizia, dirigenti, giudici, volontari e qualche parente, hanno potuto ascoltare storie di riscatto, testimonianze di revisione della propria vita e quella di perdono tra aggredito ed aggressore, intervallate da brani musicali proposti da una band formata dagli ospiti della struttura.
«Camminare insieme… verso la libertà» era il tema dell’appuntamento, organizzato dal gruppo sinodale che opera all’interno del penitenziario.
«Il cammino sinodale – racconta il cappellano don Gabriele Iiriti – è iniziato a fine 2021 ed è stato un percorso in crescendo, con diverse persone ospiti che hanno man mano aderito alla proposta offerta loro, portando avanti questo impegno con grande entusiasmo. L’appuntamento del mercoledì è diventato fisso e non c’è settimana nella quale non ci si ritrovi per “camminare insieme”».
«L’evento in carcere – afferma monsignor Giuseppe Baturi, Arcivescovo di Cagliari e Segretario della CEI – testimonia la bontà dell’intuizione di papa Francesco, che con l’avvio del Cammino sinodale ha voluto offrire a ciascuno la bellezza di sentirsi protagonisti di se stessi, della propria vita, della missione della Chiesa e rinascita della società».
«Una possibilità offerta a tutti – sottolinea Baturi – anche a coloro che vivono nel carcere, i quali, grazie al cappellano e al gruppo sinodale, hanno ripreso in mano la loro vita, generando dei gesti capaci di parlare a tutti gli uomini».
Le storie presentate nel corso del pomeriggio raccontano di uomini che hanno sbagliato ma hanno il desiderio di andare oltre l’errore e provare a ridare un senso alla propria vita.
Di particolare effetto l’abbraccio tra una persona aggredita e l’aggressore: lacrime e grandi abbracci, segno del perdono reciproco, perché spesso i detenuti fanno fatica a perdonare loro stessi, diventando vittime dei propri errori.
Il pomeriggio a Uta è stato segnato da tre elementi che caratterizzano il cammino sinodale il carcere.
«Il primo – dice il cappellano – è la comunione, che nasce dal dialogo. Nelle prime riunioni è stato complicato ascoltarsi a vicenda: la prevalenza era quella di parlare senza lasciare spazio all’altro diceva ma con il tempo è maturata la coscienza dell’ascolto per poter avere un dialogo autentico».
Il secondo è quello relativo alla partecipazione come strumento per camminare insieme. «Molto spesso – dice il cappellano – i detenuti ci raccontano che grazie al Cammino sinodale non pensano più solo a se stessi ma hanno il desiderio di muoversi insieme agli altri, scoprendo che l’altro ha qualcosa di dirmi».
Il terzo elemento è quello legato alla missione. «Alcuni detenuti – conclude don Gabriele – hanno costituito, in maniera semplice e autonoma, un’equipe di accoglienza per le persone che entrano in carcere dopo il loro arresto, perché, spesso, sono spaesati e in difficoltà».
Nei saluti finali anche il plauso dei giudici di sorveglianza, per i quali l’iniziativa è stata segno di riscatto e di speranza.
Camminare insieme «oltre le sbarre».
Roberto Comparetti
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