Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
(Lc 14, 25-33)
A partire da questo numero sarà don Andrea Busia, che ringraziamo, a commentare il Vangelo della domenica. Un grazie a Michele Antonio Corona che ha finora assicurato questo servizio, e ora chiamato alla direzione del settimanale diocesano di Oristano, L’Arborense. A Michele l’augurio di un proficuo lavoro nel nuovo incarico.
Commento a cura di don Andrea Busia
Quantità o qualità? Gesù sceglie senza dubbio la qualità per i suoi discepoli, è un maestro estremamente esigente. Pretende il primato nell’amore, rinnegamento di sé e «leggerezza».
Riguardo l’amore bisogna sottolineare una cosa fondamentale: pretende il primato ma non l’esclusività nell’amore. Vuole essere amato più di qualunque altro affetto, non che tutti gli altri ci siano indifferenti. Normalmente, nella vita del cristiano, non c’è alcuna necessità di scegliere tra i propri affetti e il Signore, ma talvolta certi attaccamenti possono allontanarci dal Signore, dalla sua volontà, e in quel caso siamo chiamati a essere coerenti con il nostro essere cristiani. Il Signore si spinge oltre affermando che, rispetto a lui, deve essere secondaria anche la nostra stessa vita: rinunciare a noi stessi per amore verso di Lui, ma solo nel caso questo sia realmente richiesto, è l’atto di testimonianza suprema, non a caso chiama «martiri» (cioè, in greco, «testimoni») coloro che hanno perso la vita a motivo della loro fedeltà al Signore.
Portare la croce è la seconda condizione del discepolato. Se non si porta la croce, se non la si accetta quando si presenta, si corre via dal calvario anziché andare con il Signore verso il dono totale di sé. Se noi rifiutiamo la croce rifiutiamo la grazia del Signore, quando si parla di croce non si sta parlando solo della sofferenza ma anche di quella porta stretta che conduce alla salvezza. Rifiutando l’una purtroppo si rifiuta anche l’altra. Ma noi lo sappiamo bene che la croce non ci piace e allora abbiamo bisogno di tanta fiducia nel Signore per affidarci a lui quando la croce si presenta, per non scappare, ricordando sempre che non siamo i soli a portare la croce, se è vero che nessuno può portare la croce al nostro posto, è vero anche che tutta la Chiesa, a partire dallo stesso Signore, cammina con noi e ci sostiene.
La terza condizione è la «leggerezza», non possiamo seguire Gesù portandoci dietro la «casa», al massimo uno «zaino» con le cose essenziali: non tutto ci è necessario, non tutto ci è utile e la tentazione di accumulare è sempre lì che aspetta uno spiraglio per farsi presente, ma se noi ci fermiamo ad accumulare, a «spolverare i nostri soprammobili», non camminiamo e, se non camminiamo, non possiamo chiamarci discepoli.
Anche la parabola all’interno del discorso di Gesù sottolinea l’esigenza di fermarsi a ragionare su ciò che serve per essere suoi discepoli. Mettersi in cammino senza aver valutato che cosa questo richieda, rende molto più facile la resa. Il Signore, invece, ci invita a fermarci, ascoltarlo, chiederci che cosa ci serve per iniziare il viaggio, preparare lo «zaino», senza dimenticare di lasciare lo spazio per la croce, e valutare se vogliamo impegnarci veramente in questo cammino. Il fatto che il Signore sia misericordioso e desideri aiutarci a raggiungere la meta non può essere per noi una scusa per venir meno alle nostre responsabilità o approcciare con faciloneria una cosa seria come il discepolato.
© Copyright Il Portico