Evangelizzazione e servizio alla carità

EditorialeEra l’11 aprile 1964 quando, attraverso un radiomessaggio, papa Paolo VI inaugurò la prima Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni: un accorato appello perché in tutto il mondo si sollevasse la preghiera al «padrone della messe, affinché mandasse operai per la sua Chiesa (cfr. Mt 9,38)». Un preciso monito il suo: obbedire al comando del Signore che esorta a chiedere al Padre pastori che siano tali secondo i desideri del cuore di Cristo. Non si sfugge alla logica del beato Montini, secondo il quale il dono delle vocazioni è legato alla «vitalità di fede e di amore delle singole comunità parrocchiali e diocesane, e alla testimonianza della sanità morale delle famiglie». Famiglia e comunità costituiscono quindi l’humus indispensabile attraverso il quale la grazia del Signore, dialogando con il cuore del singolo credente e accompagnando la storia di ciascuno, chiama a una speciale consacrazione nel sacerdozio e nella vita religiosa. Oserei dire che è proprio attraverso i legami d’amore familiari e la testimonianza di fede e di carità della comunità cristiana che il Signore si manifesta, a ciascuno, come il Vivente che è ancora possibile incontrare oggi, che può affascinare con le sue parole eterne, Lui che è la Parola definitiva del Padre, una parola di salvezza e di redenzione, che nella cifra della comunicazione, di cui la parola è il segno più evidente sebbene non l’unico, svela un Dio che invita a cercarlo nella relazione. «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35): è nella relazione infatti che scorre non solo la vita umana, ma la vita stessa di Dio, su esempio di Cristo che ha dato la vita, del Padre che ha donato il Figlio, del Padre e del Figlio che donano lo Spirito Santo. In tale cornice relazionale-trinitaria, si comprende come la vocazione sia innanzitutto il vocarisultato di una relazione, di un dialogo intimo con il Signore che si fa carne nell’esperienza umana della famiglia cristiana e della Chiesa, comunità dei salvati. Accogliere questa chiamata all’intimità con Dio, cioè alla santità, significa, come ci ricorda papa Francesco nel messaggio di quest’anno, «uscire da se stessi», rinnegare i propri egoismi, estroflettersi per diventare dono continuamente rivolto agli altri e all’Altro e capace di ricevere dagli altri e dall’Altro, sino a sperimentare che «chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25). È la dimensione missionaria della chiamata cristiana, centro della riflessione della Giornata di preghiera per le vocazioni di quest’anno: la gioia dell’incontro con Cristo e del sentirsi amato da Dio conduce «all’insopprimibile desiderio di portare la Buona Notizia ai fratelli, attraverso l’evangelizzazione e il servizio della carità!».

Si tratta di una gioia che trasforma il cuore, tanto da identificarsi con la missione di trasmettere la gioia dell’annuncio della nuova vita in Cristo e l’avvento del suo Regno. La vocazione sacerdotale è proprio questo: conformarsi al cuore di Cristo, avere gli stessi sentimenti di Cristo, per potersi donare totalmente ai fratelli, accompagnandoli nel cammino verso di Lui, come un altro viandante di Emmaus che «svela il senso delle Scritture e spezza il pane per noi».

Tenere a mente le parole del Papa è dunque importante per vivere bene la Giornata mondiale per le vocazioni: il centro di ogni annuncio e discernimento vocazionale è Cristo. È Lui infatti che fa germogliare il seme: a tutta la comunità e alle famiglie il compito di pregare e di testimoniare la gioia cristiana con una vita di fede coerente e santa, affidata al Signore e donata al prossimo, perché dalla testimonianza d’amore della comunità possano nascere, nel cuore di tanti giovani, il desiderio e la gioia di donare totalmente la propria vita a servizio di Dio e dei fratelli.

Michele Fadda – Direttore Ufficio diocesano per la pastorale delle vocazioni

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