Gigi Riva è stato il mio sogno

Don Carlo Rotondo e il rapporto con il campione scomparso

Il 12 aprile 1970 ero lì!

Papà mi portò allo stadio Amsicora.

E miei occhi erano tutti per il nostro grande eroe di quei giorni: Gigi Riva, che con  il mio accento marcatamente «casteddaiu» diventava «GiggiRrriva». 

Quante volte l’ho urlato quel pomeriggio incredibile che si concluse in gloria: Campioni d’Italia!

E lui, Gigi, capocannoniere.

Tornando a casa papà mi fece un regalo pazzesco: alle bancarelle mi comprò la maglietta del Cagliari.

La notte, e per molte notti, fu il mio pigiama.

Poi chiesi a papà di comprarmi due numeri 1 in pelle e tutto gongolante andai da mamma a chiederle di cucirmeli nella maglia.

Da quel momento ebbi un unico chiodo fisso, un’unica maniacale idea: diventare «GiggiRrriva».

E, lo sottolineo, non diventare calciatore, ma diventare Gigi Riva.

Lui era il mio sogno, tutto ciò che volevo e desideravo. 

Giocavo a pallone ogni volta che potevo.

E quando mi chiedevano dove volessi giocare la risposta scattava come una molla: «ala sinistra».

Talmente lo sognavo che, come Riva, mi abituai a calciare solo col sinistro usando il destro solamente come piede d’appoggio.

E poi allo stadio  Sant’Elia , tutte le volte che papà poteva mi portava.

E lì avevo occhi solo per lui, Gigi Riva.

Ne studiavo i movimenti, quelle braccia larghe, gli scatti, le rovesciate, i colpi di testa: erano i miei compiti a casa.

Per anni avevo un solo sogno: diventare come lui, Gigi Riva.

Quando arrivarono gli infortuni piansi tanto e, siccome ero un assiduo chierichetto, a messa non gli facevo mancare una preghierina perché guarisse più in fretta possibile.

Gigi Riva: il mio sogno.

Ma il buon Dio aveva in serbo per me altro.

E usò il mio sogno per «fregarmi»: al termine di una Messa servita in parrocchia a Sinnai, andai dal mio parroco a cui volevo tanto bene e gli chiesi cosa occorresse fare per diventare prete come lui.

E lui altrettanto candidamente mi rispose: «Devi andare a studiare a Cagliari in un luogo che si chiama Seminario».

La seconda domanda fu l’«esca» di Dio:«In Seminario si gioca a pallone?».

E la risposta fu l’«amo» a cui abboccai: «Sì, tutti i giorni».

Non esitai un attimo e rientrato a casa dichiarai alla mia famiglia che volevo entrare in seminario.

Avevo 11 (un numero leggendario) anni e Dio entrò nella mia vita a gamba tesa…meravigliosamente, sfruttando il mio sogno: Lui mi voleva sacerdote.

Oggi sono alla vigilia dei miei 60 anni, da quasi 34 anni sono felicemente prete, e strafelicemente missionario in terra africana e volgendo lo sguardo indietro fino a quel pomeriggio del 12 aprile 1970 posso dire così: Da bambino sognavo di essere Gigi Riva… ma il Buon Dio mi ha dato la gioia e l’onore di essere prete “alla Gigi Riva”.

Si, è proprio così, la mia vita sacerdotale è fatta di «giocate» incredibili, «gol» pazzeschi», «rovesciate» leggendarie, «stamborrate» imparabili.

Come Riva ho avuto anche infortuni gravi, proprio al ginocchio sinistro, come lui non mi sono lamentato ma ho sempre cercato di rialzarmi.

E come Riva ho detto un unico «Sì»: lui al Cagliari e alla Sardegna e io a quel giocherellone di Dio.

Ma il culmine della mia gioia lo ebbi quando nel 2013, grazie a circostanze semplicemente incredibili, il presidente del Cagliari Calcio, Tommaso Giulini mi ha chiesto e mi ha permesso di diventare il cappellano della squadra.

Tutti i miei sogni di una vita realizzati.

Oggi l’uomo Riva è morto… ma il suo esempio, il suo stile, la sua leggenda vive in tutti quei bambini….che l’abbiamo sognato: Grazie Gigi!

Don Carlo Rotondo, missionario rossoblu

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