«L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia».
È questo uno dei passaggi centrali della Bolla di indizione dell’anno giubilare in corso (n. 10), ma il tema della misericordia rimane uno dei nodi su cui il dialogo si dimostra difficile, proprio come avviene per la vita della Chiesa e nella Chiesa.
L’individualismo blocca la dimensione ecclesiale della fede e rende difficile anche parlare di misericordia.
Accanto a questa difficoltà ne viene subito una seconda: la conoscenza frammentaria dei testi biblici, che porta spesso a citare passi presi fuori dal loro contesto e dal quadro completo dell’insegnamento dell’autore e della Bibbia stessa. Uno dei criteri fondamentali richiamati dalla Costituzione conciliare «Dei Verbum» (n.12) è proprio quello di prestare attenzione «al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura». Quando poi si tratta di un autore dal pensiero così ricco e complesso come san Paolo, e della sua opera più lunga e articolata, la Lettera ai Romani, diventa fondamentale, con la descrizione realistica del mondo pagano idolatra e dei frutti mortiferi della sua cultura (non solo nell’ambito della sessualità ma in tutti gli altri ambiti della vita personale e sociale), annunciare anche la dimensione straordinaria della misericordia divina, tema che percorre tutta la Lettera e culmina in Rm. 11,32: «Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per essere misericordioso verso tutti».
Una terza difficoltà nasce dal dimenticare una distinzione fondamentale che la Chiesa ha sempre fatto e che papa Francesco illustra ampiamente nell’Esortazione «Amoris Laetitia» al capitolo 8, nn. 301 e seguenti. È la distinzione tra situazione oggettiva in cui si trovano le persone e la colpevolezza soggettiva di fronte a Dio. In particolare, per quanto riguarda la condizione omosessuale, si veda il Catechismo della Chiesa Cattolica ai nn. 2357-2358-2359, le cui parole di verità, ma anche di rispetto e di vicinanza pastorale, evidentemente non hanno nulla a che vedere con una certa cultura gay e con certe sue manifestazioni che si commentano da sé.
C’è poi una quarta difficoltà che rende difficile il dialogo sulla misericordia: la tendenza a polarizzare le posizioni, la cultura dell’aut-aut contrapposta a quella dell’et-et, che spinge a collocare ogni persona entro uno schieramento, per poi scegliere per quale gruppo tifare. Chi indica la via della verità evangelica diventa spesso uno incapace di compassione. Chi invece cerca di stare accanto alla persona e alle sue fragilità diventa il relativista che si adegua al mondo e alle sue mode. È proprio impossibile considerare insieme queste due attenzioni?
Tenere conto di queste difficoltà ci aiuterà a superarne una quinta, anch’essa piuttosto comune, che nasce dal non comprendere che la misericordia divina vuole portarci al cambiamento di vita, cosa su cui non sempre noi siamo d’accordo. Ci accorgiamo che la misericordia è scomoda: perdonati sì, ma tranquilli dove siamo. Ecco perché più volte papa Francesco ci ha detto che non è Dio a stancarsi di essere misericordioso ma siamo piuttosto noi a stancarci della sua misericordia.
+Arrigo Miglio, Vescovo
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