Nessun profeta è bene accetto nella sua patria

IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Dal Vangelo secondo Luca


In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».


Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?».

Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”».

Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno.


Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.


(Lc 4,21-30)


Commento a cura di Roberto Piredda

«Non è costui il figlio di Giuseppe?» (v. 22).

Il testo evangelico presenta ciò che accade dopo che il Signore applica a sé stesso l’annuncio di salvezza e di liberazione contenuto nel libro di Isaia (cfr Lc 4,17-21).

Si tratta di un avvenimento che si compie «oggi», attraverso la persona e l’opera di Gesù. Egli è la salvezza di Dio donata «oggi» all’umanità.


Il problema però sta proprio qui: come è possibile che un uomo come altri, per di più di origini modeste, possa avere la pretesa di attribuirsi tali prerogative messianiche?

È solo il «figlio di Giuseppe», un umile artigiano, niente di più.


Per questo il suo annuncio sul compimento della Scrittura è accompagnato da incomprensione e sdegno.

I compaesani di Gesù vorrebbero vedere prodigi e miracoli per credere in lui.

Il Figlio di Dio si sottrae a questa logica: l’opera della salvezza non è circoscritta solo alla sua «patria», ma è universale.

Gesù si collega così alla tradizione profetica di Elia ed Eliseo, che beneficarono due persone estranee alla comunità d’Israele: una vedova a Sarèpta di Sidone e Naamàn il Siro.


Il destino dei profeti non è però quello di raccogliere il plauso e il consenso: «Nessun profeta è bene accetto nella sua patria» (v. 24).

La missione profetica è legata alla proclamazione della Parola con giustizia e verità, anche quando il messaggio che viene da Dio risulta difficile da accettare.

Il fine non è la conservazione dell’esistente, ma la conversione del cuore per una piena adesione al progetto di Dio.


Tutto questo suscita opposizione e rifiuto, come dimostra l’intera vicenda terrena del Figlio di Dio.

A Nazareth sono i suoi compaesani ad essere incapaci di aprirsi alla novità di Dio.

Passa il Messia, il Salvatore, ma i nazaretani si rifiutano di riconoscerlo perché non rientra nei loro schemi religiosi e nelle tradizioni consolidate.

La reazione principale è quella dello «sdegno», per questo lo cacciano fuori della città e provano ad eliminarlo subito. Gesù a quel punto «si mise in cammino» (v. 30).

La sua opera non può fermarsi, dovrà arrivare fino al culmine del rifiuto degli uomini e dell’amore gratuito di Dio che sarà la Pasqua.

Tutto si gioca su una questione di fede: aprirsi o no all’opera di Dio, al modo che Egli ha scelto per rivelarsi e salvarci.

Credere in Lui significa mettere da parte pregiudizi e false sicurezze per accoglierlo nel volto concreto di Gesù di Nazareth.

Nessun profeta è bene accetto.


La Parola di Cristo è un appello per «l’oggi» di ciascuno di noi. Sarebbe una pericolosa tentazione quella di voler «saltare» il momento presente: «Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà» (Aldo Moro, 28 febbraio 1978).


La chiamata di Dio tocca la vita reale, le vicende che la attraversano, le scelte da compiere, i fratelli e le sorelle da amare e servire.

È lì, in una sorta di «carpe diem» cristiano, che si gioca «l’oggi» della nostra risposta.

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